Siccità: un piano sui bacini idroelettrici, cabina di regia con Regioni e gestori
MANTOVA. La siccità ora comincia a far paura e sempre più Comuni emettono ordinanze per razionare l’acqua. Proprio ieri il presidente Nicola Zingaretti ha firmato lo stato di calamità naturale nel Lazio fino al 30 novembre, mentre in Piemonte sono 250 i Comuni in stato di emergenza e la Regione annuncia la possibilità di utilizzare i bacini idrici, come Lago Maggiore e Lago di Garda, nonostante appartengano a concessionari.
Che la situazione sia grave lo ha detto a chiare lettere ieri il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, ai governatori riuniti per decidere il da farsi. A cominciare dalla proclamazione dello stato di emergenza che ci sarà probabilmente già la prossima settimana, ma che non varrà automaticamente ovunque. Proprio per non disperdere risorse economiche e idriche infatti il “Piano Curcio” prevede di fissare prima dei parametri limite, sotto i quali si va direttamente in stato emergenziale.
Quello che rischiano al momento tutte le regioni del Nord, Liguria esclusa. Fermo restando che chi ne resta fuori oggi può rientrarvi domani. «Ricordiamoci che lo stato di emergenza serve a fare delle cose. Si sta lavorando per definire quali», ha detto Curcio al termine della Conferenza delle regioni. Una di queste sarà l’utilizzo delle acque, non molte in verità, che riposano negli invasi idroelettrici. «Vanno aperte le dighe» hanno tuonato nei giorni scorsi i governatori alle società elettriche. «L’acqua è finita, tutta la disponibilità è stata impegnata per coprire le necessità del comparto agricolo nei prossimi giorni», è stata la replica del legale rappresentante di Enel, Giovanni Rocchi, alla Regione Lombardia. Ma qualcosa da raschiare dal fondo del barile c’è ancora e allo stato di emergenza, fanno sapere gli uomini di Curcio, seguiranno con ogni probabilità le ordinanze che dirotteranno parte delle acque degli invasi idroelettrici nei campi e nelle case degli italiani. Ma questo avverrà esaminando caso per caso la situazione, stando ben attenti a non causare poi una riduzione della produzione energetica che metterebbe a rischio le attività industriali.
«La situazione non è mai stata grave come quest’anno», ha detto il governatore lombardo Attilio Fontana. E le slide presentate dal capo della Protezione civile gli danno ragione. Perché nonostante le altre tre emergenze idriche proclamate negli ultimi venti anni, questa volta la siccità è stata preceduta da una primavera più arida e calda del solito. E a parte qualche temporale estivo che farà scorrere l’acqua sui terreni aridi senza possibilità di intercettarla, i modelli previsionali in mano agli uomini della Protezione civile dicono che la situazione non è destinata a migliorare da qui a fine agosto. Tanto che a causa anche dei terreni sempre più aridi la previsione di Curcio e i suoi è che si vada incontro a un’estate non solo a corto di acqua ma anche flagellata dagli incendi.
Per ora comunque con l’individuazione dei parametri per entrare in stato di emergenza non verrà nominato anche un commissario. La decisione assunta ieri di comune accordo è stata istituire una cabina di regia della quale faranno parte lo stesso Curcio con esponenti regionali e dei bacini idrici. Perché per uscire dal tunnel servirà il contributo di tutti, evitando i muro contro muro che, come quello paventato con le società energetiche, rischiano solo di bloccare qualsiasi decisione. E invece bisogna agire subito, come dimostra la situazione sempre più drammatica venutasi a creare nel delta del Po, dove l’abbassamento delle acque fluviali ha finito per far entrare l’acqua salata dell’Adriatico, mettendo in serio pericolo l’irrigazione dei campi, oltre che l’approvvigionamento di acqua potabile per le 7-800mila persone che abitano l’area.
Ma i governatori chiedono di guardare anche al futuro, investendo sulla riconversione in bacini di raccolta idrica delle numerose cave dismesse che si prestano all’operazione. Un’idea abbracciata nei giorni scorsi anche del segretario del Pd, Enrico Letta, che visitando la zona del Po ha parlato di «situazione insostenibile». L’idea è quella di utilizzare allo scopo le risorse del Pnrr e quelle del fondo per le emergenze della Protezione civile. Il grosso dei ristori ai coltivatori verrà invece dal Ministero dell’Agricoltura. Le associazioni di categoria parlano già di danni superiori al miliardo.