Occhi puntati su Varsavia
Prima di allora, gli strateghi di Palazzo Chigi dovranno seguire da vicino le elezioni parlamentari polacche del prossimo autunno. Lo scopo? Calibrare al meglio il nostro registro con Varsavia. La Polonia ha assunto una indiscussa centralità nel club delle democrazie occidentali da quando la Russia ha invaso l’Ucrania. Varsavia non ha solo visti confermati i propri moniti sulle cattive intenzioni di Mosca, ma ha assunto un ruolo-chiave sia assicurando forniture militari a Kiev, sia accogliendo un milione e mezzo di rifugiati. Quando si è trattato di intervenire, i polacchi si sono rivelati rapidi e determinati. Sono state addirittura accantonate le vivaci polemiche sulla riabilitazione da parte ucraina della figura di Stepan Bandera, il nazionalista ucraino le cui forze durante il secondo conflitto mondiale sono da molti considerate responsabili dei massacri di numerosi ebrei e polacchi.
Alla capacità di iniziativa di Varsavia si aggiunge una robusta presenza militare americana su suolo polacco, con il primo contingente permanente a stelle e strisce sul fianco orientale della Nato (e della Ue), e un denso reticolato di uffici di rappresentanza delle grandi corporation e dei principali think tank americani. Anche l’economia si conferma in buona salute nonostante l’inflazione a doppia cifra (+17 per cento anno su anno rilevato a gennaio). Merito delle liberalizzazioni e delle riforme di mercato varate dopo la Guerra fredda. Nel complesso si può parlare di una combinazione geopolitica ed economica che colloca Varsavia sul «lato giusto della storia», come scrivono Sylvie Kauffmann del Le Monde e Tony Barber del Financial Times. Non a caso, Joe Biden ha scelto il castello reale di Varsavia per tenere il suo discorso a un anno esatto dall’invasione russa dell’Ucraina. A onore del vero, non mancano nemmeno le note dolenti. Sia Washington sia le principali cancellerie europee sono infatti preoccupati per le tensioni tra Varsavia e la Ue e per la marcata conflittualità tra Polonia e Germania.
Sul versante interno, sono sotto i riflettori le riforme della giustizia portate avanti dai conservatori del PiS, che hanno determinato un vero e proprio stallo nei rapporti con Bruxelles. Uno degli effetti più vistosi di questa situazione è l’impossibilità per i polacchi di accedere alle decine di miliardi destinati a Varsavia nel quadro del Recovery fund e di diversi programmi regionali. Su un piano diverso, poi, colpisce la tendenza al revisionismo storico che caratterizza i conservatori del PiS. L’anno scorso, sempre intervenendo in Polonia, Joe Biden aveva per esempio attirato l’attenzione degli osservatori di politica internazionale con il suo insistito elogio di Lech Walesa, storico leader di Solidarnosc e figura-chiave nella lotta al comunismo ultimamente finito sotto attacco da parte del PiS.
Oltre a questi elementi, c’è la tenacia con cui la Polonia cerca di fare da capofila di raggruppamenti informali all’interno della Ue. Varsavia, che non fa parte del nucleo dell’euro-zona, si è proposta sia come leader di un blocco baltico-scandinavo, sia come maggiorente del Gruppo di Visegrad, che riunisce i principali Paesi dell’Europa centro-orientale. Sennonché né i baltici né gli scandinavi hanno voglia di creare spaccature all’interno della Ue, che farebbero solo la gioia di russi e cinesi. Quanto al blocco centro-orientale, è ormai reso inservibile dalla posizione dell’Ungheria di Orban, principale riferimento nella Ue per Mosca e Pechino.
Una questione principale è poi data dalle increspature nei rapporti tra Polonia e Germania. Il PiS sta cavalcando questo filone, anche in chiave elettorale, e ha formalizzato maxi-richieste di riparazione per danni bellici per oltre un miliardo e mezzo. L’impressione è che in Occidente siano in molti ad attendere prima l’esito delle prossime elezioni polacche, e poi quello delle euro-parlamentari. Quanto a Giorgia Meloni, è stata abile a puntare sulla Polonia al momento giusto e con la giusta chiave atlantista. Ha inoltre dato prova di pragmatismo declassando il rapporto con l’Ungheria di Orban sotto soglia di visibilità. Con Varsavia, Meloni, ha metaforicamente incrociato le lame sulla delicata questione delle importazioni di gomma sintetica dalla Russia, badando però a tenere «bassa» la notizia sui mezzi d’informazione. Con questo stesso spirito, non le conviene farsi trascinare nelle baruffe tra Germania e Polonia, e tantomeno in quelle tra eurozona e no-euro.
L'autore, Francesco Galietti, è esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar