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Il ritorno silenzioso della 'ndrangheta



Dopo la decisione del Consiglio dei ministri del 23 aprile di sciogliere il consiglio comunale di Tropea, in provincia di Vibo Valentia, a causa di “accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata che compromettono il buon andamento dell'azione amministrativa”, il tema della discussione dovrebbe spostarsi sulla società civile.

Ne è convinta, tra gli altri, Marisa Manzini, attualmente sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, che si è occupata per diversi anni della ‘ndrangheta di Vibo Valentia, indagando sulla pericolosa cosca dei Mancuso di Limbadi, comune nell’entroterra: «Fino a quando i cittadini non capiranno che in questo modo il danno alla Calabria diventerà irreversibile, noi tutti, anche magistrati e forze dell’ordine, non riusciremo a cambiare il corso degli eventi».

“Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, alla luce degli accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata che compromettono il buon andamento dell'azione amministrativa, ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ha deliberato lo scioglimento del Consiglio comunale di Tropea e l'affidamento della gestione del Comune, per 18 mesi, ad una Commissione straordinaria”. Con un lapidario comunicato finale del Consiglio dei Ministri dello scorso 23 aprile si mette fine alla gestione amministrativa di una delle più note località turistiche calabresi, le cui bellezze naturali sono conosciute a livello internazionali. La proposta di scioglimento era stata presentata proprio dal Ministro Piantedosi che, a sua volta, aveva fatto propria la richiesta avanzata dal Prefetto di Vibo Paolo Giovanni Grieco che aveva avviato l’iter amministrativo con la Commissione di accesso agli atti nello scorso ottobre. Intanto, si è insediata la terna commissariale (composta dal viceprefetto Vito Turco, dal Viceprefetto di Vibo, Roberto Micucci e dal funzionario economico-finanziario Antonio Calenda) che guiderà la gestione politico-amministrativa per 18 mesi prorogabili ancora di altri 6. Da par sua il sindaco Giovanni Macrì, in carica dal 2018, si è dichiarato «molto rammaricato per la decisione del Consiglio dei ministri. So esattamente quello che ho fatto come sindaco e come amministrazione e sinceramente non mi aspettavo un provvedimento del genere. Vedremo le motivazioni della decisione e stabiliremo il da farsi».

Dottoressa Manzini, lei ha una conoscenza particolare del territorio calabrese, pur non essendo assolutamente originaria di questa terra…

«Ho scoperto la Calabria, il suo paesaggio e la sua gente quando, nel 1993, sono arrivata a Lamezia Terme per prendervi servizio quale Sostituto Procuratore della Repubblica. Avevo poco più che trent’anni e il Mezzogiorno d’Italia e la Calabria in particolare, erano per me, fino ad allora, praticamente sconosciuti: avevo frequentato l’Università a Milano, svolto l’uditorato giudiziario a Torino, io che sono novarese di nascita e lombarda di ascendenze familiari. Nel 2003, poi, approdai alla Procura distrettuale di Catanzaro: su domanda fui trasferita nel capoluogo con il ruolo di sostituto Procuratore presso la Direzione Distrettuale Antimafia e mi venne assegnata la competenza sul territorio della provincia di Vibo Valentia».

E a questo punto le si apre un mondo, perfettamente dicotomico…

«Esattamente: questa parte di Calabria è letteralmente affascinante, con le coste rocciose e frastagliate che si rompono per fare spazio a insenature in cui la sabbia bianca e fine ricorda paesaggi esotici. Non è un caso il nome di Costa degli Dei, per il forte legame con l’antica Grecia e le sue colonie in quest’area. Da Nord si rincorrono Pizzo, Vibo Marina, Briatico, Marina di Zambrone, Parghelia, Tropea, Capo Vaticano -uno dei promontori più affascinanti al mondo- Joppolo, Nicotera Marina: località turistiche famose e frequentate, grazie al mare color smeraldo. Insomma, un incanto. Ma…».

Già. Lei notò, subito, l’altro termine della dicotomia, pare di capire.

«Mi resi conto che il territorio così tanto affascinante, ricco di moderne strutture alberghiere e di villaggi turistici dallo stile esotico, strideva letteralmente con la vera urbanizzazione locale che, invece, offriva il volto di una Calabria povera e maltrattata. Un esempio su tutti? Quella lunga teoria di fabbricati sparsi a ridosso della costa, verso l’altopiano del Poro (la parte montuosa della provincia di Vibo, nda) spesso rimasti incompiuti, con le facciate a mattoni. Un pugno nell’occhio, se rapportato al paesaggio rigoglioso e alla ricchezza turistica».

Ragioni storiche?

«In parte, perché certamente la Calabria è una terra “storicamente” marginale. Nonostante l’aulico passato magno-greco, è mancata la lunga fase dell’autonomia comunale, circostanza che ha negato o ritardato la stessa conclusione della fase feudale. Nei secoli è andato scemando, nella società calabrese, il concetto di senso dello Stato, ovvero il riconoscimento dal basso -dal popolo- che lo Stato sia un’entità presente con le sue strutture, le sue leggi, le sue terminazioni periferiche. A ciò si aggiunga l’impoverimento del territorio da sempre culla di una società parentale nella quale emergono, soprattutto, i legami familiari, di sangue, di possesso, di fedeltà».

E s’imbattè nella presenza più ingombrante in questo paesaggio che lei ha definito “paradisiaco”: la ‘ndrangheta…

«Fu in questo contesto che iniziai a svolgere indagini che mi portarono a ricostruire le vicende di numerose organizzazioni criminali, a carattere familiare, appartenenti alla ‘ndrangheta, su tutte il temibile clan Mancuso di Limbadi, piccolo comune nell’entroterra. Questo clan ha approfittato dell’eccessiva fragilità della struttura economica e della polverizzazione delle attività economiche, giungendo a conquistare, praticamente in condizione di monopolio crescente, i più disparati settori dell’economia: dal turismo, alla pesca, dall’allevamento al terziario. Poi la predominanza di imprese a carattere individuale ha reso le aziende stesse molto più vulnerabili ai comportamenti ricattatori ed intimidatori».

Lei parla di fragilità dell’economia locale, eppure l’offerta turistica, in termini di immagine è sbalorditiva, praticamente la più ricca dell’intero territorio regionale…

«La stragrande maggioranza di questi complessi turistici hanno ridisegnato il territorio e non solo paesaggisticamente, nel senso che lo hanno “riformulato” dal punto di vista economico, ma l’economia complessiva, paradossalmente, non ne trae benefici diffusi. E sa perché? Perché chi frequenta grandi complessi alberghieri e villaggi scintillanti (e la Costa degli Dei ne è ricoperta…) alla fine vive esclusivamente all’interno del mondo ristretto del resort in cui è ospitato. Mare trasparente, aurore e tramonti spettacolari (celebre quello su Stromboli...), con la società locale ai margini. Non voglio generalizzare, ma questa consapevolezza è il frutto di molte delle risultanze investigative che ho coordinato negli anni».

Anche per questo è stato possibile che negli ultimi decenni il potere mafioso si impossessasse letteralmente del territorio calabrese, Vibonese in questo caso?

«Le famiglie di ‘ndrangheta -chiamiamole con il loro nome! - dispongono di ciò di cui la maggioranza delle forze produttive del territorio difetta, ovvero di ingenti capitali provenienti, ovviamente, da decenni di attività illecite. Denaro sonante che esse investono nei settori produttivi locali, a partire dal turismo. E il discorso vale anche per altre aree regionali: la Calabria è una terra che ha nel turismo, appunto, e nelle imprese primarie le sue storiche vocazioni economiche e se queste (agricoltura, pesca, servizi della ristorazione, industrie di trasformazione, molte delle quali a conduzione familiare) mancano del denaro per continuare nella propria attività, è giocoforza l’intervento delle cosche, pronte a rifondere il proprio denaro illecito…».

Un accenno allo scioglimento del Comune di Tropea…

«Non conosco nella loro interezza gli ultimi accadimenti, ma leggendo i recenti articoli di stampa che hanno riportato anche gli esiti del lavoro della Commissione di accesso insediatasi nello scorso ottobre, emerge uno spaccato che definire drammatico è un eufemismo. Tra l’altro quest’importante città turistica aveva già conosciuto lo scioglimento dei propri organi elettivi nel 2016».

Molte di queste riflessioni lei le ha messe nero su bianco: libri che hanno contribuito a scoperchiare un mondo di legami familistici su base mafiosa.

«Per la mia attività di magistrato del pubblico ministero, da anni sotto scorta a causa delle indagini nei confronti dei clan di ‘ndrangheta, sono convinta di come con il dialogo si possa (e debba…) incidere anche sul tessuto della criminalità organizzata calabrese. Serbo ancora la speranza che le donne e gli uomini di Calabria possano continuare a credere che la potenza della parola possa mutare il volto oscuro e nascosto di questa meravigliosa terra».

Lei gira molto per le scuole: la speranza va coltivata sin dalla giovane età?

«Parlare di ‘ndrangheta nelle scuole, trattare -con i ragazzi- delle conseguenze devastatati che le mafie hanno prodotto nella società e nella vita politica, dei falsi miti che porta appresso, rappresenta l’unica possibilità di formare nuove classi dirigenti più consapevoli e pronte a contrastare la ‘ndrangheta. Significa avviare un cambiamento nella cultura di un popolo che deve combattere e rifiutare l’etichetta di mafiosità».

Lei ha ancora speranza?

«Uno dei più forti deterrenti contro la criminalità organizzata calabrese è l’utilizzo del dialogo con le forze giovani e sane della regione, che non mancano certo. Anche per fare breccia nell’universo familistico della ‘ndrangheta. Tra gli adulti sembra mancare la consapevolezza della gravità del fenomeno mafioso. Proviamo dal basso…».

*

Marisa Manzini (Novara, 1962) è Sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro: è stata procuratore aggiunto di Cosenza, sostituto procuratore presso la Procura distrettuale di Catanzaro e sostituto procuratore a Lamezia Terme. Si è occupata per diversi anni della ‘ndrangheta di Vibo Valentia, indagando sulla pericolosa cosca dei Mancuso di Limbadi, circostanza che le ha permesso di conoscere dettagliatamente il territorio del Vibonese. È specializzata in Criminologia clinica con indirizzo socio-psicologico, si è occupata della direzione del comitato scientifico nel corso di Alta Formazione sulle Politiche di contrasto alla mafia – Analisi delle mafie e delle strategie di contrasto organizzato dalla Fondazione dell’Università Magna Graecia di Catanzaro. Già consulente della Commissione parlamentare antimafia in Roma, ha pubblicato Fai silenzio ca parrasti assai (Rubbettino, 2018) e Donne custodi. Donne combattenti. La signoria della ‘ndrangheta su territori e persone (Rubbettino 2022).

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