“November”, la commedia sul voto Usa con Barbareschi
Il fermento tipico del clima pre-elettorale che si respira negli Usa, in cui il presidente uscente, Charles Smith, mette in atto una serie di manovre disperate per restare al potere. La commedia “November”, scritta dal noto drammaturgo e sceneggiatore americano David Mamet, vincitore del premio Pulitzer nel 1984, racconta con un umorismo tagliente e una satira feroce i temi della politica e del potere negli Usa. Questa sera (ore 20.30, biglietti esauriti) con la regia di Chiara Noschese, “November” approda al teatro Valentino di Voghera.
Il presidente Charles Smith, un uomo senza scrupoli assetato di potere, sarà interpretato da Luca Barbareschi, che nella sua carriera ha lavorato in tv, cinema e teatro, come attore, regista e produttore.
Barbareschi, questa commedia può essere accostata all'ascesa al potere di Donald Trump e all'America di oggi?
«Certamente. E' stata scritta 27 anni fa, ma in realtà si adatta perfettamente alla realtà di oggi, a dimostrazione di quanto sia geniale Mamet nei suoi testi. Viviamo in un'epoca in cui c'è più farsa nella politica che in teatro. Trump dice una cosa oggi, poi domani la nega, e la gente non ci capisce più nulla. Vedo che anche noi italiani ci stiamo americanizzando, tra ministri inquisiti e la poca veridicità dell'informazione. Nella classe politica c'è sempre meno rispetto per l'etica e la morale, si sono persi i veri valori”.
Che tipo di presidente è Charles Smith ?
«E' come se fosse un bambino di 8 anni, capriccioso. Piange e ride, potrebbe essere paragonato a Trump, che si alza al mattino e dice “Voglio la Groenlandia».
Quale ritratto dell'America emerge da questa commedia?
«Un'America in cui si è disposti a tutto pur di arrivare ai soldi e al potere, e a mantenerlo. Come succede nell'America di oggi, dove una cerchia ristretta di persone, come i proprietari di Facebook e Google e gli altri colossi del web, detengono una tale ricchezza che gli consentirebbe di pagare l'intero debito pubblico europeo. Io ho vissuto in America, e posso dire che non c'è solo l'isola felice di New York, che somiglia ad un luna park. L'America è un Paese di frontiera, in cui ci sono Stati , come l'Arkansas e il Wyoming, in cui le persone dormono per strada e vivono nelle baracche in legno. La ricchezza e il potere sono nelle mani di pochi, ma cosi finisce la democrazia e si afferma un'oligarchia, come sta avvenendo oggi. Purtroppo vedo anche un' Europa sempre più vecchia, con il tasso di natalità in flessione costante. Poi l'Europa dovrebbe anche decidersi sul rapporto da tenere con gli americani, sembra che quando ci fa comodo, gli chiediamo aiuto, per poi cambiare idea».
Lei ha lavorato in tanti contesti differenti, tra cinema, teatro e tv. Dove si sente più a suo agio?
«Sicuramente a teatro, dove sono arrivato a cinquant’ anni di carriera. Il teatro è una forma di restituzione affettiva col pubblico, ci si scambia l'energia. Fa molto bene ai ragazzi, sarebbe bello che in Italia si facesse di più per incentivare la gente ad andare a teatro».ALESSANDRO QUAGLINI