Trump alza la posta con il Venezuela: tra minacce di guerra, petrolio e nuova Dottrina Monroe

Tensione alle stelle tra Washington e Caracas. Venerdì, durante un’intervista a Nbc News, Donald Trump ha detto di “non escludere” una guerra con il Venezuela. L’affermazione del presidente americano è arrivata dopo che, martedì, aveva decretato un “blocco totale e completo” di tutte le petroliere in entrata e in uscita dal Paese sudamericano. Non solo. In quell’occasione, Trump aveva anche definito il regime di Nicolas Maduro “illegittimo”, bollandolo inoltre come una “organizzazione terroristica straniera”. L’inquilino della Casa Bianca aveva altresì esortato Caracas a restituire “tutto il petrolio, la terra e gli altri beni”, sequestrati dal governo venezuelano agli Stati Uniti ai tempi di Hugo Chavez.

Sono mesi che Trump invoca le dimissioni di Maduro. In questo quadro, ha schierato varie navi da guerra al largo delle coste venezuelane, ordinando anche numerosi attacchi, in area caraibica, contro imbarcazioni accusate di condurre attività di narcotraffico. E proprio il narcotraffico rappresenta la motivazione principale addotta dalla Casa Bianca per la sua crescente pressione politico-militare sul regime di Maduro: regime che, secondo Washington, sarebbe pesantemente coinvolto nel traffico di stupefacenti ai danni degli Usa. Ricordiamo del resto che, nel 2015, due nipoti dell’attuale presidente venezuelano furono arrestati dalla Dea per aver cercato di portare 800 chili di cocaina negli Stati Uniti. Resta tuttavia il fatto che la lotta al narcotraffico si interseca ad altri fattori: fattori che chiamano in causa dossier energetici e geopolitici.

Innanzitutto, Trump, come dimostrato dalla sua ultima strategia di sicurezza nazionale, punta a promuovere una riedizione aggiornata della Dottrina Monroe. Vuole, in altre parole, rafforzare l’influenza statunitense sull’Emisfero occidentale non solo per contrastare narcotraffico e immigrazione illegale ma anche per arginare le manovre di potenze ostili, a partire dalla Cina. Quella Cina che storicamente vede nel regime di Maduro uno dei propri principali punti di riferimento in America Latina. Tutto questo, senza trascurare gli storici legami che il chavismo intrattiene con Russia e Iran.

Inscindibilmente connesso al dossier geopolitico emerge, in secondo luogo, quello energetico. Notoriamente, il Venezuela dispone dei più grandi giacimenti petroliferi al mondo. Ciononostante le sue esportazioni sono fortemente limitate sia a causa della malagestione interna che delle sanzioni statunitensi. Attualmente, il principale acquirente di greggio venezuelano è infatti Pechino. Ebbene, è assai probabile che la pressione di Trump su Caracas riguardi anche questo dossier. “L’amministrazione Trump sta chiedendo alle compagnie petrolifere statunitensi se sono interessate a tornare in Venezuela una volta che il leader Nicolas Maduro se ne sarà andato”, ha riferito Politico mercoledì. Del resto, come abbiamo visto, appena il giorno prima Trump aveva decretato il blocco alle petroliere in entrata e in uscita dal Venezuela.

Ora, non escludendo un conflitto con Caracas, è chiaro che il presidente americano, almeno implicitamente, non esclude neanche un regime change: un regime change che, in caso, riporterebbe gli americani a svolgere il ruolo che, nel settore petrolifero venezuelano, avevano prima dell’avvento al potere di Chavez. Nonostante le compagnie statunitensi sembrino attualmente restie a investire in Venezuela, la strategia che ha in mente l’inquilino della Casa Bianca ha vari obiettivi.

Cominciamo subito col dire che il Venezuela produce una tipologia di greggio particolarmente adatto alle raffinerie situate sulla costa del Golfo degli Stati Uniti. Attualmente gli americani acquistano questo greggio dal Canada, che, non a caso, teme di essere sostituito da Caracas nel medio termine. In secondo luogo, Washington assesterebbe indirettamente un colpo alla Cina, che, come abbiamo detto, è al momento il principale acquirente di petrolio venezuelano. In terzo luogo, un regime change porterebbe prevedibilmente a una revoca delle sanzioni statunitensi e a una gestione più efficiente dell’industria petrolifera venezuelana: ciò, almeno in teoria, determinerebbe un ulteriore abbassamento del prezzo del petrolio. Il che, per Trump, produrrebbe un duplice vantaggio.

In primis, rendendo ancora più conveniente la benzina, il presidente americano colpirebbe la transizione verde e, in particolare, quell’auto elettrica contro cui fece campagna elettorale nel 2024, venendo incontro alle preoccupazioni dei metalmeccanici del Michigan. E attenzione: colpendo la tecnologia green, la Casa Bianca colpirebbe al contempo anche Pechino. L’altro aspetto da considerare è che Trump punta a contrastare il carovita in vista delle elezioni di Midterm del prossimo novembre. “Penso che ci siano ottime probabilità che, se dovesse succedere qualcosa tra Russia e Ucraina, o se dovesse succedere qualcosa in Venezuela, potremmo davvero vedere i prezzi del petrolio scendere ancora di più”, dichiarò il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, a fine novembre, per poi aggiungere: “I prezzi del petrolio e della benzina sono scesi notevolmente sotto la presidenza Trump. E la chiave per contrastare il carovita è la riduzione dei prezzi dell’energia”.

Insomma, nel dossier venezuelano si saldano varie componenti: dalla lotta al narcotraffico all’energia. Tutti fattori che rientrano all’interno di un’unica cornice: quella riedizione della Dottrina Monroe che Trump vuole portare avanti per acquisire un vantaggio competitivo nei confronti della Repubblica popolare cinese.