Massari: “Mangiare il panettone solo a Natale è come avere una macchina eccezionale e usarla un mese l’anno. Il talento? Chi ce l’ha non sa di averlo, altrimenti non lavorerebbe come un matto”
“Mangiare il panettone solo a Natale è come fare una macchina eccezionale e usarla un mese l’anno”. Iginio Massari parte da questa metafora per spiegare la sua idea di pasticceria oggi. Lo dice in un’intervista a La Stampa, mentre nel suo laboratorio – dove vigono regole ferree e quotidiane che non ammettono deroghe – continua a controllare impasti e cotture come fa da settant’anni. Massari ha compiuto 83 anni lo scorso agosto. Da settanta vive tra zucchero, creme e lievitati, con una routine immutata: sveglia alle due e mezza del mattino, arrivo in pasticceria, sistemazione di sedie e tavolini, mezza spremuta d’arancia e poi la pianificazione della giornata. “Così quando arrivano le ragazze hanno meno da tribolare”, spiega. Disciplina e pulizia, prima di tutto. Anche fuori dal forno.
In questi decenni è cambiato anche il pubblico: “Alcuni sono invecchiati con noi, ma oggi circa un terzo arriva dal Sud. E quasi tutti sono diventati come i giapponesi: hanno bisogno di continue novità”. Una domanda che, secondo Massari, non si soddisfa rincorrendo le mode, ma intervenendo su forme, tecniche e impasti. “Il maritozzo, per esempio: una volta si faceva con il pane all’olio, oggi con una pasta brioche al lievito naturale. Quell’innovazione l’abbiamo introdotta noi”. Accanto all’innovazione c’è poi un altro tema centrale: la riduzione dello zucchero. “Nella panna lo abbiamo diminuito dell’85 per cento: ne mettiamo quanto basta per valorizzarne il gusto”. Non è solo una scelta salutistica. “Il mercato lo fa chi produce. Può cucinare le cose più buone del mondo, ma se non le accompagna con una comunicazione corretta, finirà a mangiarsele da solo”.
C’è però qualcosa che non è mai cambiato: il rapporto diretto con il cliente: “Vuole sapere chi fa i dolci e come li fa. A volte chiede il selfie, ma sempre più spesso domanda perché si usano certi ingredienti”. Parlare, ascoltare, spiegare: fa parte del mestiere. Anche quando le richieste diventano difficili da gestire. “Mia moglie Mary, ogni tanto, mi dice che è meglio che scenda in laboratorio. Allora chiamo il capopasticcere: ‘Sali tu ad ascoltarli, io mi sono scocciato’”. Tra gli episodi che ricorda c’è una richiesta risalente agli anni del craxismo: “La figlia di un importante politico mi chiese una torta nuziale alle carote per seicento persone. Le dissi che col mio nome sotto non l’avrei mai fatta”.
Da quindici anni Massari è una presenza costante in televisione, anche grazie a MasterChef. La popolarità non ha cambiato il suo modo di lavorare. “Non sono un uovo di Pasqua: non prometto sorprese. So quello che sono e quello che valgo”. Il titolo di “maestro dei maestri” gli viene attribuito spesso, ma lui ricorda che in Italia non esiste un vero esame per esserlo. Da qui nasce la legge che porta il suo nome e che istituisce la figura del “maestro dell’arte della cucina italiana”, una riforma che però “non è ancora stata del tutto attuata”.Quanto al talento, Massari è tranchant: “È come il denaro: chi ce l’ha non sa di averlo. Altrimenti non si spiegherebbe perché continua a lavorare come un matto”.
Arrivando al Natale, per Massari il dolce simbolo resta uno solo: il panettone. Ma non come prodotto confinato alle feste. “A Natale c’è il boom, ma preferirei distribuire il lavoro su dodici mesi. È una questione di economia di scala”. Le rivisitazioni non lo spaventano, ma il verdetto spetta sempre ai clienti. “Puoi innovare quanto vuoi, sono loro a decidere se funziona”. Il panettone, del resto, Massari lo ha insegnato ben oltre i confini italiani: da Minneapolis a Tokyo, fino a Barcellona, dove tra gli assistenti c’era Francisco Torreblanca, oggi uno dei grandi nomi della pasticceria spagnola.
Con negozi aperti in diverse città italiane, la sfida resta mantenere standard elevati. “Il problema non è la qualità, ma condividerla con le maestranze”. Il segreto è la curiosità. “Il mio capopasticcere è con noi da 26 anni e ancora oggi mi chiede come intervenire”. E per chi si mette ai fornelli in questi giorni, un avvertimento chiaro: “Attenti alla cottura, è la cosa più insidiosa”. Poi la ricetta, semplice e concreta, per non sprecare nulla: una torta meneghina fatta con il panettone avanzato, crema pasticcera, panna e cannoncini. “Si fa anche dopo Natale”, dice Massari. Proprio perché, se è buono, il panettone non ha stagione.
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