Se perdi il lavoro i tuoi genitori (anche se anziani) devono mantenerti? La legge risponde
La Cassazione chiarisce che il mantenimento non si ripristina dopo la perdita del lavoro se il figlio ha già un’autonomia economica.
Roma, 22 dicembre 2025 – Il tema del diritto al mantenimento da parte dei genitori nei confronti del figlio maggiorenne che ha perso il lavoro continua a essere oggetto di dibattito giurisprudenziale e sociale. La recente Ordinanza n. 2344/2023 della Corte Suprema di Cassazione ha chiarito alcuni aspetti fondamentali della materia, confermando orientamenti ormai consolidati ma suscitando anche nuove riflessioni sul confine tra autonomia economica e sostegno familiare.
Il mantenimento del figlio maggiorenne: condizioni e limiti
In Italia, l’obbligo dei genitori di assicurare il mantenimento dei figli è sancito dall’articolo 30 della Costituzione e dall’articolo 147 del Codice Civile, che impone l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole “in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità professionale e casalinga”. Tale obbligo, tuttavia, non si estingue automaticamente al compimento della maggiore età, bensì permane finché il figlio non raggiunga una concreta indipendenza economica.
Il mantenimento è quindi dovuto se il figlio maggiorenne si impegna nel proseguimento degli studi con profitto o è in una fase attiva di ricerca di lavoro. Se il figlio trova un’occupazione, anche a tempo determinato o precaria, si presume che possa iniziare a sostenersi autonomamente e, di conseguenza, viene meno il diritto al mantenimento da parte dei genitori.
Il figlio che perde il lavoro: cosa dice la Cassazione
La questione più spinosa riguarda il figlio che, dopo aver trovato lavoro, lo perde per licenziamento o altre cause indipendenti dalla sua volontà. La Corte Suprema di Cassazione, con l’Ordinanza n. 2344/2023, ha stabilito che in questi casi il figlio non ha diritto a recuperare il mantenimento. I giudici hanno infatti affermato che la precedente esperienza lavorativa, anche se di breve durata, dimostra un’adeguata capacità di autonomia economica, sufficiente a far cessare l’obbligo dei genitori.
La pronuncia precisa che il diritto all’assegno di mantenimento si esclude anche in presenza di gravi difficoltà economiche o dell’età relativamente giovane del figlio, e che il licenziamento “senza colpa” del lavoratore non giustifica un nuovo sostegno economico. Si tratta di un orientamento che conferma la volontà di limitare nel tempo l’onere per le famiglie, spingendo il figlio a trovare soluzioni alternative di sostentamento.
Differenza tra mantenimento e obbligo alimentare
È importante sottolineare che la pronuncia della Cassazione riguarda esclusivamente il diritto al mantenimento, ovvero il sostegno economico dovuto finché il figlio non è autonomo. In caso di reale e comprovato stato di bisogno, tuttavia, permane l’obbligo di corresponsione degli alimenti, una prestazione patrimoniale che copre solo il minimo indispensabile per la sopravvivenza.
Questa distinzione è fondamentale per comprendere che, pur cessato il diritto al mantenimento, i genitori possono essere tenuti a fornire un supporto minimo qualora il figlio versi in condizioni di grave difficoltà economica che gli impediscano di provvedere ai bisogni essenziali.
L’importanza dell’esperienza lavorativa stabile
La Cassazione ha inoltre ribadito che non è sufficiente un lavoro precario o un contratto a tempo determinato per considerare il figlio pienamente autonomo. Solo un’esperienza lavorativa stabile, prolungata almeno per due anni, può legittimare la cessazione del mantenimento, come sancito dall’Ordinanza 19696/2019.
In questo contesto, la perdita del lavoro dopo aver raggiunto l’autonomia economica non riapre il diritto al mantenimento, a meno che non si manifestino condizioni di bisogno tali da giustificare l’obbligo alimentare.
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