“Luca Laurenti l’ho lanciato io ma tutti pensano sia merito di Bonolis. Rocco Tanica mi ha copiato e pure male, Tiberio Timperi? Preferisco non parlarne”: lo sfogo di Giovanni Ippoliti

Gianni Ippoliti racconta la televisione italiana partendo da sé stesso. Lo fa in un’intervista al Corriere della Sera in cui ricostruisce una carriera laterale e spesso scomoda, fatta di intuizioni precoci, format inventati e mai rivendicati, successi visti passare di mano e una satira che, dice, “rompe e ricompone le strutture”. L’incipit è già una dichiarazione di metodo: “Praticamente fino alla laurea non sono mai uscito di casa. Ero tutto studio e lavoro: ho iniziato a lavorare a 11 anni”.

All’epoca, Ippoliti faceva il porta-quote alle corse dei cavalli, all’ippodromo, girando con i foglietti dei favoriti per le scommesse: “Al liceo ero lo spacciatore dei compiti in classe”, racconta. Recuperava le prove delle altre sezioni e le rivendeva ai compagni. A fine anno scolastico ritirava i libri dai promossi e li rimetteva in circolo: “Era un modo per cavarsela”. In tv arriva tardi e quasi per caso. Appena laureato, va per la prima volta in discoteca, al Jackie O’. Balla da solo. Una “notissima attrice” – di cui non rivela il nome “per privacy” – gli si avvicina e balla con lui mezz’ora. “Tutti si chiedevano chi fosse questo personaggio misterioso”. Da lì viene notato e preso nel 1977 a Piccolo Slam. È lì che inventa, senza saperlo, la promozione televisiva: l’ospitata per lanciare qualcosa. “La marchetta non esisteva. Me la sono inventata io”. Realizza 31 puntate, ma non firma mai una liberatoria: “Non sono mai stato pagato”.

Negli anni successivi inanella idee che diventeranno standard televisivi. I primi vox populi in strada a Al Barattolo, quando “nessuno andava a fare domande alla gente comune”. La rassegna stampa vera, su una tv locale romana, con i giornali del giorno dopo. Provini, dove finti casting mettevano alla prova aspiranti attori: “Non costava nulla, la gente veniva gratis”. Dibattito!, talk show finto con opinionisti sconosciuti, dove lancia Luca Laurenti. “Il padre mi chiese di dargli una mano. Gli dissi: se ti fidi di me, un giorno andrai a Sanremo”. Oggi, nota con una punta di amarezza, “leggo sempre che è stato scoperto da Bonolis”.

Il capitolo più spinoso resta Soliti Ignoti. Ippoliti lo rivendica senza mezzi termini. “Nel 1991 proposi a Guglielmi il primo quiz fisiognomico non comprato dagli Stati Uniti”. Lo presenta in un galà Rai con Pippo Baudo. Invitava una persona sul palco e chiedeva al pubblico se fosse un impiegato delle poste, un netturbino o il custode di una palestra. “Augias disse che sembrava un esercizio frivolo, ma interessante”. Il programma ebbe ottimi ascolti, ma durò una stagione. Nel 2007 la Rai manda in onda Soliti Ignoti come format americano. “Baudo mi chiamò per avvisarmi che lo avrebbero fatto e che mi avrebbero contattato. Non mi chiamò nessuno”.

Nei titoli di coda, ancora oggi, legge che è tratto da un’idea di Tim Puntillo. “Andai all’ufficio acquisti e dissi che se avessero fatto causa agli americani avrebbero vinto. Il dirigente rimase muto”. Non chiede soldi, né la conduzione. “Ho chiesto solo di scrivere: da un’idea di Gianni Ippoliti. Non di Tim quel che è”. È l’episodio che dice di averlo “più amareggiato” nella carriera. Quando si parla di copie, il riferimento a Rocco Tanica è esplicito: “Tu copi paro paro un’idea e non dici mai da chi ti sei ispirato. Copiata pure male. Copiateme, ma copiateme bene, come diceva Proietti”. Sulla rassegna stampa rifatta da altri, anche a Sanremo, è netto: “Ben guardandosi dal citare la fonte”. Più tagliente è il silenzio su Tiberio Timperi, dopo uno scontro in diretta: “Preferisco non parlarne e non nominare alcune tipologie di persone. Mi piace parlare solo degli incontri felici”. Ippoliti rivendica il suo essere “personaggio di rottura”. “Rompo una struttura e la ricompongo. La finta rassegna stampa nasce per rifare il verso ai giornali, per colpire i cliché”. Del fake, dice, ha intuito i risvolti comici prima che diventasse dominante. Il titolo di cui va più fiero? A Sanremo con Baudo: un finto quotidiano che titolava a nove colonne “Pippone nazionale”. “In sala stampa ci fu una standing ovation”.

Chiude quindi con una riflessione amara sulla tv di oggi. “Una volta c’erano i programmi e si decideva a chi affidarli. Oggi ci sono solo salotti con centinaia di aspiranti presentatori”. La differenza, secondo lui, è tutta lì: “All’epoca un direttore interrompeva una riunione per ascoltare le tue idee. Oggi, se vai a proporre qualcosa, ti prendono per matto”.

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