“La montagna non si misura con il righello”. Da Cesio, comune dell’entroterra di Imperia, Fabio Natta, sindaco e componente della consulta nazionale piccoli comuni dell’Anci, guarda alla nuova perimetrazione dei comuni montani prevista dalla legge 131/2025 e dal decreto attuativo. Il punto, dice, è evitare che un criterio esclusivamente altimetrico trasformi la tutela delle aree montane in una lotteria. “L’abbandono del territorio vorrebbe dire dissesto idrogeologico irreparabile – spiega il sindaco ligure – tagliare comuni montani come questi della Valle Impero e tanti altri in Appennino costituirebbe una ferita profonda, non solo alla montagna, ma all’intero Paese”.
I comuni montani che rischiano di rimanere esclusi sono
in rivolta. Il
problema della legge Calderoli, secondo Natta, nasce quando la norma prova a
ridefinire chi, in Italia, può stare nel recinto “montano” che dà accesso a strumenti e risorse. Uscire dall’elenco può voler dire
perdere finanziamenti e
agevolazioni “per le imprese”, per il “mantenimento di scuole” e per le “bollette della luce o del gas”. La tutela della montagna, ricorda, “è garantita dalla Costituzione” e serve a
ridurre diseguaglianze strutturali: dove restare a vivere è più complesso, lo Stato interviene per non lasciare i territori soli. Nei materiali tecnici e nel racconto pubblico del provvedimento, la riduzione è netta. La nuova classificazione “qualifica come montani
2.844 comuni”, pari al 36 per cento dei comuni italiani, su una superficie di 121.715 km e con
7,8 milioni di residenti, il 13,2 per cento della popolazione nazionale (dati attribuiti alle elaborazioni su base Istat e al modello Dtm Nasadem). La precedente classificazione contava
4.201 comuni: la differenza è di 1.357 amministrazioni in meno, una potatura che cambia la geografia politica dei fondi. La ratio, nelle carte governative, è esplicita: “La riduzione del numero di comuni montani consentirà di concentrare le risorse disponibili per le zone autenticamente montane”. Parole che, lette da un municipio piccolo, suonano come un test di autenticità fatto col metro.
La bozza di decreto lavora su tre criteri, tutti centrati su altimetria e pendenza. Il primo è il più pesante: comune montano se almeno il 25 per cento del territorio sta sopra i 600 metri sul livello del mare e almeno il 30 per cento della superficie ha una pendenza oltre il 20 per cento. Il secondo allarga la maglia con un valore medio: entra chi ha un’altimetria media sopra i 500 metri. Il terzo recupera i casi “interclusi”: comuni circondati da comuni già classificati montani, a patto di avere un’altitudine media di 300 metri. Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le autonomie, ha indicato la disponibilità del governo a includere “ulteriori peculiari situazioni di interclusione”, per arrivare a “quasi 2.900” comuni montani. È il segnale che la trattativa con regioni ed enti locali è ancora aperta. Il cuore dell’obiezione di Natta, che fa riferimento al Pd ma non ne vuole fare una questione di appartenenza politica, non è una difesa dell’elenco storico in quanto tale, ma la richiesta di evitare paradossi: discriminare tra paesi montani usando i metri sul livello del mare come scorciatoia per stabilire chi merita tutela. “Occorrerebbe privilegiare quelli che si trovano in uno stato di disagio economico e sociale maggiore“, dice. “Il criterio deve essere chi sta peggio, non chi è più alto”.
La nuova legge prevede che i beneficiari delle misure (sanità, istruzione, incentivi a investimenti e imprese, lavoro agile, acquisto e ristrutturazione di immobili) siano individuati con successivi parametri socio-economici, ma “esclusivamente” dentro l’elenco dei comuni montani definito dal decreto. La lista, quindi, non è un dettaglio: è il cancello. Chi resta dentro potrebbe ricevere di più; chi esce rischia lo zero. La critica non arriva solo dai sindaci dei piccoli comuni che rischiano di restare fuori. Diverse associazioni di geografia italiane hanno accusato la nuova classificazione di “banalizza[re] la complessità e la diversità dei territori montani”, perché fondata sui soli criteri di altimetria e pendenza, e di rischiare di “perpetuare i divari territoriali”, favorendo alcune aree a scapito di altre. Elena Dell’Agnese, presidente dell’Associazione italiana geografi e geografe, ha offerto una sponda tecnica: “I geografi italiani mettono a disposizione le proprie competenze scientifiche per una definizione di ‘montanità’ operativa e soddisfacente”. È la stessa linea invocata dalla consulta dei piccoli comuni dell’Anci: riconoscere la montagna come “condizione”, non (solo) come quota.
L'articolo Comuni di montagna in rivolta contro la legge Calderoli: “Esclusi quasi 1400 centri. Così si abbandonano i territori” – Videoracconto proviene da Il Fatto Quotidiano.