Auguri di Natale all’ex? Attenzione: in questi casi è reato. Informati o rischi grosso
Una sentenza della Cassazione chiarisce quando messaggi o chiamate all’ex possono costituire reato di molestie: ecco cosa prevede la legge
In un periodo come quello natalizio, caratterizzato da gesti di affetto e riconciliazioni, è importante fare chiarezza su quando un semplice messaggio o una telefonata possono trasformarsi in un comportamento illecito.
La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 32770 del 3 ottobre 2025 ha ribadito con fermezza che il proseguire di contatti insistenti verso un’ex persona può configurare un vero e proprio reato di molestia. Vediamo nel dettaglio quali sono i confini legali e cosa dice la giurisprudenza più aggiornata.
Le molestie telefoniche e telematiche: una violazione della libertà personale
Non è raro, soprattutto nelle fasi di separazione o di rottura di una relazione, che uno dei due partner tenti di ristabilire un contatto con chiamate o messaggi insistenti. Tuttavia, come chiarito dalla Suprema Corte, nonostante alcune comunicazioni possano rientrare in un normale percorso di chiarimento, superare certi limiti rappresenta una violazione della libertà personale dell’altro.
La Corte di Cassazione ha specificato che il reato di molestie o disturbo alle persone si configura in presenza di un uso invadente del telefono o di strumenti telematici, indipendentemente dalla possibilità di bloccare o interrompere il contatto. Ciò significa che anche l’invio ripetuto di SMS o messaggi WhatsApp, se non gradito e reiterato, può costituire molestia.
La vicenda che ha portato alla pronuncia della Corte riguarda A.A., condannato con una multa di 100 euro per aver ripetutamente contattato la propria ex nella seconda metà di dicembre 2022, con chiamate vocali e messaggi di testo nella speranza di ricucire il rapporto sentimentale. Dopo il rigetto del suo appello, A.A. si è rivolto alla Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso definendolo manifestamente infondato.
Nel suo dispositivo la Corte ha sottolineato che il disturbo si verifica quando viene alterata la normale tranquillità di una persona e la molestia si configura come un’azione dolosa che arreca fastidio o disagio psichico, anche se temporaneo.
È stato inoltre chiarito che la molestia si consuma ogni volta che la condotta è posta in essere “per petulanza o altro motivo biasimevole”, definendo la petulanza come un atteggiamento di arrogante invadenza e di ingerenza continua e inopportuna nella sfera di libertà altrui.
Già in precedenti sentenze, la giurisprudenza aveva affermato che il reato di molestie si integra quando vi è un corteggiamento ossessivo e petulante, volto a instaurare un rapporto comunicativo non desiderato, attraverso una sequenza insistente e fastidiosa di contatti.
Tale condotta implica un’intrusione costante e sgradita nella vita privata della vittima, con conseguente lesione della sua libertà personale. Non si tratta quindi di un semplice contatto sporadico, ma di una vera e propria invasione che altera la serenità e la libertà dell’individuo.
Il quadro normativo e giurisprudenziale si presenta quindi molto chiaro: il rispetto delle scelte altrui, soprattutto dopo la fine di una relazione, è un principio inderogabile. Insistere con chiamate o messaggi dopo un rifiuto esplicito non è solo moralmente scorretto, ma può rappresentare un illecito penale sanzionabile.
Nel delicato contesto delle relazioni interpersonali terminate, è fondamentale comprendere che il diritto alla privacy e alla tranquillità è un valore tutelato dalla legge. Quando una persona decide di non voler più avere contatti, tale volontà deve essere rispettata senza tentativi di forzatura.
La sentenza della Corte di Cassazione ribadisce che, oltre a essere un comportamento inopportuno, la reiterazione insistente di contatti non desiderati può configurare il reato di molestie ai sensi dell’articolo 660 del codice penale.
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