«Omosessuale» sull’anamnesi. L’Arcigay: «Il medico corretto»
Anamnesi: «Lavora come cuoco. Fuma circa 15 sigarette al dì. Beve saltuariamente alcolici, nega allergie». E subito dopo: «Omosessuale, compagno stabile». Una precisazione che non è piaciuta al paziente, dimesso dall’ospedale di Alessandria, a cui si era rivolto per un forte mal di testa. «Cosa c’entra? Perché lo specifichi? È un dettaglio che posso decidere di tenere riservato, ma che adesso dovrò quantomeno condividere con il mio medico di base. E se lui non lo sapesse? E se io non volessi farlo sapere? Mi chiedo: ci sarà mai una anamnesi con scritto “eterossessuale con compagno stabile”?», si è domandato il paziente, che ha pubblicato una foto della lettera di dimissioni su Facebook, scatenando indignazione e polemica.
Antonello Soro, Garante per la protezione dei dati personali, lo ha difeso a spada tratta: «È un dato sicuramente irrilevante a fini della diagnosi, come anche delle prescrizioni terapeutiche o di comportamento. Prima ancora della evidente violazione delle norme in materia di privacy, colpisce l’evidente inutilità delle informazioni».
L’Ordine dei Medici di Alessandria, invece, con una nota su Facebook, firmata dal presidente Mauro Cappelletti, dissente: «Viene proposta, a mezzo stampa e sui social, una interpretazione a senso unico e pertanto fuorviante per i cittadini e denigratoria dell’operato dei professionisti che si sono adoperati per la salute di un paziente che si era a loro affidato. Estrapolare una frase o un termine dal contesto nel quale sono stati inseriti, può produrre un titolo a sensazione ma non rende un servizio di utile informazione alla collettività».
Alla cautela invita anche l’Arcigay nazionale: quella lettera di dimissioni tanto contestata potrebbe essere un segno di progresso. Ce lo ha spiegato Gabriele Piazzoni, Segretario Generale Arcigay. «L’anamnesi è un documento blindato dalla privacy assoluta, un luogo riservato. Dove il medico raccoglie non solo informazioni sulle patologie, ma anche sulle abitudini e sullo stile di vita», afferma. «Dopo una serie di controlli, poteva essere sensato che il medico chiedesse al paziente quali fossero le sue abitudini e se le sue pratiche sessuali fossero ordinate, se avesse quindi una relazione stabile. Noi riteniamo che, ponendo questa domanda, il medico abbia fatto il suo dovere». Da tempo l’Arcigay chiede ai professionisti sanitari di non dare per scontata l’eterosessualità dei pazienti, perché facendolo «si escludono o includono impropriamente fattori di rischio. Chi è omosessuale può essere esposto a patologie di diverso tipo rispetto a chi è eterosessuale».
Piazzoni ricorda che due anni fa una domanda, «Quali delle seguenti percentuali rappresenta la migliore stima dell’omosessualità dell’uomo?», inserita tra quelle dei «progress test» di Medicina su diagnosi, genetica, malattie e comportamenti da tenere davanti a certe malattie, aveva scatenato le polemiche all’Università di Torino. Uno studente gay di Medicina ci aveva spiegato che «una domanda sull’incidenza dell’omosessualità non è necessariamente omofoba. L’omosessualità ha un carattere multifattoriale con una componente di genetica: c’è sempre stata, in mammiferi, uccelli e rettili. Non c’è un gene dell’omosessualità: sono invece geni che tutti abbiamo e che in alcune persone si esprimono e in altri no. È una variante di qualcosa che è scritto in tutti noi. Una componente genetica c’è, e un quesito a questo riguardo è plausibile».
Anche in questo caso, secondo l’Arcigay, al paziente è mancata una guida che potesse aiutarlo a leggere correttamente l’operato del medico. «Ogni nostra sede ha uno sportello salute, a cui ci si può rivolgere. Purtroppo, quando si chiede un’opinione sui social, le risposte spesso sono impulsive. Siamo convinti che si debba sempre investire sulla relazione medico – paziente: il primo passaggio consigliato è quello di chiedere chiarimento al medico. Una domanda in più toglie dubbi o percezioni sbagliate».
Ma Piazzoni non vuole sminuire il disagio che può avere provato il paziente: «A volte la sensazione di essere discriminati è il risultato di anni di negativizzazione: a forza di essere vittime di pregiudizi si genera una sorta di omofobia interiorizzata. Ma se il modo in cui il medico ha posto la domanda ha generato una sensazione di discriminazione o una presa di distanza, beh, questo non deve accadere mai. Il disagio deve essere assolutamente eliminato».