Covid, nella mente dei No cura: “La paura e il complotto”
Cosa porta certe persone ad assumere posizioni così radicali, al punto da essere disposte a sacrificare la vita pur di non sottoporsi alle terapie ospedaliere? Ne parliamo con lo psicologo Oscar Miotti
TREVISO. Il fenomeno dei No vax che si ammalano di Covid e si proclamano “no cura” allarma i medici della Marca trevigiana. Provare ad entrare nella loro mente per capire cosa li porti ad assumere posizioni così radicali, al punto da essere disposti a sacrificare la vita pur di non sottoporsi alle terapie ospedaliere, è una riflessione che merita di essere fatta con un esperto.
«La base per leggere questi episodi è la paura a cui si somma l’idea che il virus non esista. Due convinzioni che diventano sempre più profonde e innescano delle forme di autodifesa che tanto somigliano all’ingresso in una setta dove il resto del mondo viene tagliato fuori e non viene ammesso il confronto». Lo psicologo Oscar Miotti, esperienza di lungo corso e un osservatorio privilegiato nel suo ambulatorio a Castelfranco, prova ad analizzare le dinamiche all’apparenza inspiegabili, eppure, sempre più diffuse, che portano a rifiutare prima la profilassi e quindi le cure anti-Covid.
Professor Miotti all’inizio della pandemia era unanime il coro di quanti volevano uscirne e speravanoin un vaccino. Ora non è più così, cosa è successo?
«Nella storia dell’umanità, di fronte alle grandi catastrofi, la teoria del complotto è sempre stata cavalcata. L’idea di una regia occulta è una modalità di semplificazione della realtà che il genere umano cerca. La teoria del complotto nasce così, cercando una spiegazione semplice di fronte ad un avvenimento estremamente complicato».
È questo il meccanismo mentale ed emotivo che spinge i non vaccinati contagiati a rifiutare le cure salvavita?
«Sì è proprio questo, una sorta di inossidabile fedeltà del proprio convincimento iniziale sull’insussistenza del virus e sull’inutilità della medicina. Pensano di poterne venire fuori da soli, senza la medicalizzazione anche quando i livelli di ossigeno nel loro sangue toccano livelli fatali. Questi pazienti rimangono ancorati all’idea iniziale di non interventismo, una coerenza estrema che rasenta la follia ma resta tale fino alla morte».
Quali altri fattori entrano in campo per condurre ad una scelta così estrema?
«Da una parte abbiamo la paura che mette il soggetto con le spalle al muro, non lo fa muovere di un centimetro rispetto ai suoi convincimenti. Possono esserci anche la paura della sofferenza dettata dalle cure anti-Covid e, non da ultimo, molti No vax reclamano la libertà quale forma di ribellione alle regole e all’autorità e nutrono sfiducia nei confronti delle istituzioni».
La comunicazione ha giocato un ruolo? «Non c’è sempre stata una buona comunicazione, ed è da comprendere vista la situazione emergenziale, ma a volte le informazioni sono state contrastanti, hanno cavalcato di più il piano emotivo rispetto a quello razionale. Da sottolineare il ruolo dei social, che sono un’opportunità ma gli algoritmi che li governano selezionano i contenuti in base agli interessi del singolo, quindi a chi cerca un determinato tipo di informazioni, verranno suggeriti contenuti di quello stesso tenore».
Cosa potrebbe far cambiare idea a un No cura? «La strategia è sul piano emotivo. Per chi ragiona di pancia il linguaggio deve essere quello. Ciò che dicono i virologi è acqua fresca per i No vax, molto più efficace è il messaggio di uno di loro che, una volta uscito dalla terapia intensiva dice di averla scampata e di essersi convertito».
Potrebbe essere utile introdurre degli psicologi in corsia?
«Sì, degli operatori a gestire il dialogo tra il paziente e chi si occupa della cura per aiutare nella comunicazione». —