L’abbraccio dei cinquemila alla Cadore: «Nostalgia e orgoglio: è la nostra vita»
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Da piazzale della Resistenza fino al cuore della città: gli ex commilitoni sfilano in mezzo a due ali di folla in festa
BELLUNO. L’abbraccio dei cinquemila. Belluno saluta con un vero abbraccio e applausi sinceri la “Cadore”. La memoria della Brigata è sempre viva nei cuori degli alpini e della popolazione. Alla sfilata da Piazzale della Resistenza al centro città, evento clou dell’ultimo giorno di celebrazioni per il 6° Raduno, hanno partecipato 49 reparti appartenuti alla “Cadore” per un totale di circa 3 mila penne nere. Lungo tutto il tragitto, ali di folla festante, specie al passaggio sul Ponte degli Alpini e ancor di più all’arrivo in piazza dei Martiri, lo stesso luogo che il 10 gennaio 1997 ospitò la cerimonia di scioglimento.
Di fronte allo stadio Polisportivo si sono ritrovati ex commilitoni della Brigata, non solo dal Bellunese e dal Triveneto, ma anche da Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte. Seguendo la Fanfara dei congedati della “Cadore”, i 49 gruppi sono partiti uno ad uno. Dal 7° Alpini alla numerosissima rappresentanza del “Lanzo”, dal gruppo “Agordo” ai vari battaglioni e compagnie, cori e fanfare. Uno striscione in ricordo di Matteo Miotto, poi gli scudetti delle brigate alpine Tridentina, Orobica, Julia e Taurinense. A chiudere il corteo, la Protezione Civile. Il trasferimento è quindi proseguito attraverso il Ponte degli Alpini e le vie del centro, fino alla festosa tappa di piazza dei Martiri.
Durante tutto il percorso, si poteva respirare lo spirito di quel che è stato la “Cadore”, una memoria che oggi rivive sì con nostalgia, ma soprattutto passione ed entusiasmo. «Vivo a Belluno da 53 anni, ma sono barese d’origine», racconta Pietro Camposeo. «Ho seguito le retrovie: ero nel battaglione logistico, che dava supporto per rifornimenti, riparazioni, recupero mezzi, radio. La “Cadore” è stata sempre fulcro nella città di Belluno, e in tutta la provincia con i vari battaglioni. Il bellunese la sente ancora viva. Ogni volta che c’è una rimpatriata, c’è tanta gente che ci segue».
Franco Chiesa, metà trentino e metà bellunese, alpino per passione e per nascita, è stato il penultimo comandante della Brigata Cadore, tra 1992 e 1993. «Era una tra le unità più belle», ricorda. «Sono stato nella “Cadore” per circa metà della mia vita: ho cominciato nel 1963 da tenente, appena uscito dall’accademia militare di Modena. Ho trascorso tutti i gradi della carriera qui in zona, a Belluno o Feltre. A tre quarti della carriera, sono tornato a Belluno, dove nel 1992 sono stato promosso comandante. Un ruolo che ho svolto per poco più di un anno: un’esperienza meravigliosa. Un vero peccato che la “Cadore” sia stata sciolta: abbiamo perso un po’ d’anni di storia. Cosa rimane? Da un lato la nostalgia, dall’altro il piacere di ritornare periodicamente nei raduni. Qui ci si ritrova – generali o alpini semplici: il grado non conta più – con grande passione e piacere».
È di Nino Geronazzo la testimonianza più toccante: «Ho fatto parte della “Cadore” da gennaio 1969 a luglio 1977», racconta. «Dopo l’accademia militare, sono approdato a Feltre al gruppo “Agordo”, dal 1969 al 1975. Sciolto questo, sono passato per due anni a Belluno al gruppo “Lanzo”. Poi, per scelta di vita e motivi di famiglia, ho deciso con molta fatica di lasciare il servizio e passare all’industria privata. Ho avuto varie esperienze lavorative, nelle quali molto mi hanno aiutato i trascorsi militari. Trovarsi a 25-26 anni, con piene responsabilità in giro per le Dolomiti, a gestire uomini, mezzi e muli, ti forma nel modo più completo. Poi a Conegliano mi ha “catturato” l’Ana, dove ho vissuto 40 anni di vita associativa: tra 2008 e 2014 sono stato nel consiglio direttivo nazionale, negli ultimi due anni da vicepresidente».
Alla domanda “Cosa rimane oggi della Cadore”?”, Geronazzo si commuove. «La “Cadore”, come l’Ana, per me è tutto».