L’handicap non è un ostacolo: due ragazzi mantovani in stage a Budapest
Tre settimane lontano da casa, in un paese straniero, senza genitori, fratelli o amici, impegnati in un lavoro nuovo in una grande dimensione internazionale. Un’esperienza formativa sfidante per qualsiasi ventenne, un’avventura ancora più impegnativa ed eccitante per Giulia e Davide, diciannove e vent’anni, ragazzi con sindrome di Down che per tre settimane sono stati impegnati in uno stage professionale all’hotel Marriott di Budapest.
L’opportunità è arrivata grazie alla sezione mantovana dell’Aipd, Associazione italiana persone down che, attraverso il progetto Erasmus Plus, ha permesso a Giulia Maccari e Davide Tomati di volare nella capitale ungherese per mettersi alla prova in un’esperienza di lavoro e di vita. Ad affiancarli il coordinatore del progetto Riccardo Bonfà e l’educatrice Elisa Monaco. A Budapest Giulia e Davide hanno preso parte alle dinamiche di uno degli alberghi del colosso internazionale dell’hotellerie Marriott, ottomila sedi nel mondo.
L’hotel di Budapest si trova nel cuore della città, in una posizione d’incanto in riva al Danubio. Qui i ragazzi hanno lavorato quotidianamente sperimentando le diverse mansioni che si possono trovare in un grande hotel internazionale: dall’assistenza in cucina e al bar, alla preparazione della sala ristorante, dalla reception alla sistemazione delle camere.
Ma c’è stato spazio anche per visitare la città e i simboli dei suoi fasti imperiali, come il castello e i ponti suggestivi, oltre a tappe al parlamento neogotico affacciato sul fiume e al famoso zoo della città.
Non ultima, per i ragazzi c’è stata la necessità di confrontarsi con la lingua inglese in un contesto internazionale e di relazionarsi lavorando in team con altri ragazzi del progetto, due giovani con sindrome di Down provenienti da Roma.
Per Giulia di Castel Goffredo, studentessa di quinta superiore del liceo delle scienze umane di Asola «è stata un’esperienza bellissima che mi ha fatto crescere, soprattutto nella lingua inglese. Mi è piaciuto lavorare in albergo: sarebbe bello fare questo lavoro, anche se il mio sogno è lavorare con i bambini, magari in un asilo nido». «La prima settimana è stata difficile – aggiunge – ma poi mi sono messa in carreggiata e mi sono divertita. Ora mi piacerebbe tornare a Budapest e portare con me la mia famiglia».
Davide, iscritto al Cse di corte San Lorenzo a Curtatone, risiede a Spineda, appena al di là del confine con il Cremonese. «È stata un’esperienza che mi ha fatto crescere – racconta – non ero mai stato così lontano senza la mia famiglia. La città mi è piaciuta tanto e ho anche trovato nuovi amici».
Aipd è presente da quarant’anni sul territorio nazionale e dal 2005 nel Mantovano. Attualmente a Mantova l’associazione segue trenta ragazzi e fornisce assistenza a loro e alle famiglie dalla diagnosi alla terapia, fino all’inserimento in società. Massima attenzione viene posta all’emancipazione della persona attraverso percorsi di autonomia e inserimento lavorativo. «L’esperienza di Giulia e Davide fa parte di un percorso che stiamo portando avanti a livello internazionale e che ci ha visto, come Aipd Mantova, protagonisti anche nelle tappe di Istanbul e di Cluj, in Romania, dove siamo stati formatori nell’ambito del progetto Down without Barriers coordinato da Aipd nazionale. Abbiamo, quindi, potuto confrontarci con operatori e famiglie di vari paesi europei» spiega Riccardo Bonfà, psicologo e coordinatore dei progetti di autonomia e inserimento lavorativo per la sezione mantovana dell’associazione.
«Si tende a pensare che le persone con sindrome di Down vadano accudite e non possano muoversi in autonomia senza la famiglia – aggiunge Norma Rondini, presidente di Aipd Mantova – invece viaggiare, stare con persone che non si conoscono, confrontarsi con una lingua diversa è un’occasione di crescita eccezionale, oltre che una bella esperienza professionale. Lo scoglio maggiore sono le famiglie, preoccupate da possibili pericoli. Noi le spingiamo ad avere fiducia. I ragazzi, invece, sono sempre entusiasti di partire. E quando tornano li ritroviamo un po’ più adulti di come sono partiti».