Un film nel film: quando i comunisti si scatenarono contro don Camillo
Qualche settimana prima delle cruciali elezioni del 18 aprile 1948, uscì per Rizzoli “Don Camillo”, il fortunato libro di Giovannino Guareschi (avventure già apparse dal 1946 su Candido diretto dall’autore). Lo scontro politico è acceso dopo la sconfitta delle sinistre, così per il progetto del film si trova già un accordo con la commissione di censura. Il primo regista a essere interpellato fu Alessandro Blasetti, che cominciò a pensarci con entusiasmo ma, visti i problemi politici, rifiutò. L’affare passò nelle mani del produttore Peppino Amato, che coinvolse la Cineriz di Angelo Rizzoli, fu interpellato Mario Camerini, che non se la sentì di passare, dopo il suo passato, per anticomunista.
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Vittorio De Sica si vantò su “l’Unità” di aver rifiutato sdegnosamente. Luigi Zampa, solo all’idea di quel reazionario di Guareschi disse che “non ci pensassero nemmeno”. Lo scoglio politico pareva insormontabile, ma vista la fermezza di Guareschi si tentò all’estero. Fu chiesto a Frank Capra, ma si sarebbe liberato solo nel 1953, troppo tardi. Così si giunse a Duvivier, (l’unico francese a veder proiettati i suoi film durante il fascismo) che accettò. Affidare a uno straniero la direzione del film sembrò l’ultima possibilità per non far naufragare il film. Ma un grosso polverone era in agguato. 4 ottobre 1951, il Teatro municipale di Reggio Emilia ospita, secondo i giornali, “la conferenza del secolo”, sono sul palco per un duello pubblico Giovanni Guareschi e Renzo Bonazzi, giovane avvocato e assessore alla cultura, già critico cinematografico del quotidiano “Il Progresso d’Italia”.
Uno scontro ritmato da fischi e applausi dei partecipanti: 520 seduti e 20.000 nella piazza adiacente, amplificata con altoparlanti, a gridare e a battere le mani ora all’uno, ora all’altro. Dalle targhe delle auto: Bologna, Modena, Parma, Mantova, Firenze e Livorno, si poteva già cogliere l’interesse dell’evento. Il Comune di Brescello aveva concesso strade e piazze per le riprese poiché il film avrebbe portato nelle sue casse 2 milioni di lire al giorno per un mese, mentre 800 lire al dì era il compenso per centinaia di comparse. “Come uomo politico disapprovo senza riserve la nascita di tale film, ma come amministratore non posso che guardare benevolmente a Don Camillo”, aveva dichiarato il sindaco, mentre Bonazzi aveva gridato: “Guareschi rappresenta la forma mentis retriva, medievale, quella che è propria dei grandi agrari, in una parola, dei reazionari”, intendendo smascherare il progetto anticomunista.
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La polemica si sposterà sui quotidiani nazionali e contribuirà alla gran cassa della promozione della pellicola che esce il 15 marzo 1952. All’inizio di aprile arriva anche a Mantova, i prezzi dei biglietti spiccano a 250-200 lire e solo dopo 28 giorni scendono, passata la Pasqua, a 150. Si leggeva sulla Gazzetta: “Il Mondo piccolo rappresentato da Guareschi è quello racchiuso in un paese qualsiasi della bassa padana, dove la temperatura delle passioni raggiunge gradi eccezionalmente elevati, alterando facilmente la personalità e le abitudini degli abitanti. Duvivier, infatti, sembra essersi preoccupato di smussare quegli spigoli rancorosi e veristici ancora sussistenti nell’opera di Guareschi, conferendo al film un’intonazione amena e idilliaca. Il don Camillo impersonato da Fernandel non coincide forse del tutto con quello ideato da Guareschi, ma resta comunque una delle creazioni più animate di questo magnifico attore. Gino Cervi è un Peppone abbastanza efficace, mentre Ruggero Ruggeri ha dato la sua voce al Cristo che parla: la trovata più disgraziata del film”. Il settimanale comunista “Il Progresso” di fronte di un tale successo scriveva: “Allo spettatore meno premunito potrà forse essere piaciuto. Infatti, il Don Camillo, finanziato dalla S.P.E.S. e dall’Azione Cattolica, non è ben riuscito come film anticomunista. E ciò perché i clericali, sul loro terreno ideologico culturale dimostrano di essere veramente poco ferrati contro il comunismo. In fondo Peppone non è così malvagio come i democristiani usano rappresentare il comunista nelle loro predicazioni d’odio. Tuttavia il film di tipo qualunquista contiene l’elemento calunnioso quando presenta lo sciopero nelle stalle fino a far crepare il bestiame, fatto mai verificatosi e poi quando mostra il sindaco trasformarsi in un crumiro. È questa la produzione che gode di tutti i favori di Andreotti. E noi ci rammarichiamo che troppo posto trovino nei programmi delle sale mantovane”.