Covid, grave in ospedale anche la titolare del trasportatore no vax ucciso dal virus
CODEVILLA. La tragedia di Andrea Bellinzona, non vaccinato per convinzione e morto di Covid a 56 anni, si porta dietro altri drammi. È grave in ospedale anche la titolare della ditta dove l’uomo lavorava, un’azienda di autotrasporti a Bressana Bottarone. La donna, che ha 72 anni, è ricoverata in terapia intensiva al San Matteo. In isolamento sono state messe anche tutte le persone che hanno avuto contatti con l’uomo, a cominciare dai colleghi di lavoro. Non c’è certezza che la donna si sia contagiata perché ha avuto contatti con il suo dipendente, ma da quanto è stato possibile ricostruire, qualche giorno prima che Bellinzona si sottoponesse al tampone (poi risultato positivo), la donna lo aveva accompagnato a casa perché l’uomo si era presentato in deposito con la febbre. Bellinzona era così tornato nella sua abitazione, a Codevilla, dove si era curato a domicilio.
L’8 di settembre è arrivata la conferma del tampone positivo. Qualche giorno dopo, il 12 settembre, il figlio ha chiamato l’ambulanza perché vedeva il padre peggiorare. Bellinzona è arrivato al San Matteo in condizioni disperate. I medici non sono riusciti a salvarlo. «Le persone coinvolte in questa vicenda chiedono il massimo silenzio possibile, per rispetto a chi ha perso un parente – dice la figlia della titolare della ditta ricoverata in ospedale –. Non voglio che si incolpi nessuno. Il mio unico pensiero è che mia madre torni a casa».
La posizione no vax
Bellinzona non si era vaccinato: una scelta in linea con le sue convinzioni già manifestate ai tempi del primo lockdown del 2020. Chi lo ha conosciuto racconta che il camionista ha sempre contestato le regole introdotte per limitare i contagi, dall’utilizzo della mascherina sino al Green pass. Sui social seguiva gruppi no vax e negazionisti, dove vengono espresse posizioni contrarie ai vaccini. Ma anche sul lavoro aveva più volte manifestato la sua contrarietà alla campagna vaccinale.
L’ex datore di lavoro
L’uomo lavorava da tempo per la ditta di Bressana, ma una settimana prima di ammalarsi aveva chiamato il suo ex datore di lavoro, a Broni. «Mi aveva chiesto se ero interessato a riprenderlo a lavorare – racconta Simone Nevelli –. Gli ho chiesto se avesse fatto il vaccino, sapendo quali erano le sue posizioni. Mi ha risposto che erano tutte sciocchezze ma che avremmo trovato una soluzione, al massimo avrebbe fatto più tamponi. Era un bravo ragazzo, un gran lavoratore, ma ha fatto una scelta sbagliata. Bisogna vaccinarsi. Mi dispiace moltissimo per il figlio e per le persone coinvolte». —