Padova, mandorli in fiore un mese prima: «È la primavera già in inverno»
«Il mandorlo in fiore prende per mano il bucaneve lungo il viale del Monte Fasolo, ecco l’immagine del gravissimo cambiamento climatico di fronte a noi». Il professore Stefano Bona, docente di produzione e difesa di specie medicinali e aromatiche all’Università di Padova, spiega cosa sta accadendo alla natura.
C’erano una volta le stagioni, febbraio era un mese invernale e la primavera faceva capolino a metà marzo. Oggi invece lungo la romantica passeggiata dei Colli Euganei si trovano già i mandorli fioriti che dovrebbero vedersi invece a marzo. «Ce ne accorgiamo già vestendoci», spiega il professore, «abbiamo messo da parte il cappotto e, se non proprio a mezze maniche, certo ci siamo alleggeriti di abiti. Dunque le temperature sono in anticipo di circa un mese e se n’è accorta anche la primavera, che fiorisce. Con i cambiamenti climatici cambiano le temperature e andiamo sempre di più incontro a fenomeni estremi: dal freddissimo al molto caldo, non ci sono più i tempi ampi e finiamo per correre numerosi rischi». In testa il mondo agricolo: «In questi giorni stiamo registrando temperature più alte della media del periodo, ma non mi stupirei se a breve ci fosse un ritorno del freddo. Questi sbalzi, da un punto di vista botanico, uccidono i fiori che sono sbocciati: se il freddo arriva all’improvviso muoiono e, se sono stati fecondati, assistiamo ad un aborto dei primordi dei frutti che dovrebbero esserci. È evidente che questi abbassamenti repentini di temperatura preoccupano gli agricoltori perché perdono il raccolto delle culture frutticole».
Dunque nessuna sorpresa scientifica se si vedono dei fiori primaverili quando è ancora inverno, al contrario la preoccupazione è che i fiori non li vedremo proprio: «Il pericolo è che non si riescano a vedere né i fiori invernali, né quelli primaverili», avverte Bona, «perché potrebbero esserci temperature così miti da non consentire ai bucaneve di fiorire e temperature così fredde da non vedere i mandorli. La comunità scientifica è molto preoccupata. Le nostre specie non sono in pericolo a breve, i rischi nell’immediato riguardano un ritorno di freddo improvviso o di calore estremo o ancora fenomeni di grandine più frequenti».
Si studiamo soluzioni e strategie di difesa, ad esempio le irrigazioni di acqua sopra la chioma delle foglie per portare la pianta alla stessa temperatura dell’ambiente circostante, oppure bagni d’acqua congelata che producono una sorta di effetto igloo, isolando la pianta dall’ambiente esterno, ma non sono soluzioni definitive.
«Così come noi cambiamo abitudini, ad esempio usiamo meno il riscaldamento e di più il condizionatore – con evidente danno dal punto di vista energetico ed ambientale – così gli agricoltori corrono ai ripari e la natura cambia strade. Già oggi assistiamo a piante che necessitano di maggiore freddo che si spostano, salgono in montagna, ad esempio l’arnica montana – usata anche per la cura dell’artrosi – e potrebbe accadere che ci troveremmo specie ad oggi diffuse nel Sud Italia, come gli infestanti cardi, mentre nel meridione stanno coltivando già oggi mango e papaia che sono specie tropicali».
La speranza del mondo scientifico è che tutti, anche l’uomo della strada, acquistino consapevolezza: «Vedere con i propri occhi potrà aprire gli occhi a qualcuno, ma la mia più grande preoccupazione sono i negazionismi e, soprattutto, il fatto che ce ne sono troppi nella politica».