Da nonno al nipote, l’eredità letteraria di Hemingway
foto da Quotidiani locali
Prima di salutarci ricordo a John Patrick Hemingway l’esistenza di un nuovissimo libro di Matteo Nucci intitolato “Sognava i Leoni – L’eroismo fragile di Ernest Hemingway” (HarperCollins) e il nipote del mito, in collegamento dagli States, (l’autore sessantenne ha casa sul confine della Georgia) esulta e dice: «Quando arriverò a Lignano vorrei comprarlo, dev’essere molto interessante».
Lui fa lo scrittore come il nonno anche se, ammette, «Sono costretto a pubblicare per Amazon e devo dedicarmi pure all’impaginazione. Le case editrici americane hanno parametri tutti loro e il mio cognome non fa la differenza. In più non rappresento né gli afroamericani né i gay e ho evidenti difficoltà a impormi». John sorride per far capire che non è molto angosciato sulla questione. L’accetta così com’è e fine della storia.
Avrete colto da una soffiata all’inizio del pezzo che il figlio del medico dottor Gregory, a sua volta uno dei bimbi di Ernest, arriverà in Friuli per celebrare assieme a noi i settant’anni dalla visita lignanese del parente famoso (aprile 1954) e dell’assegnazione del Nobel (stesso anno). A ciò aggiungiamo un’altra cifra tonda: i quarant’anni del Premio Hemingway (dal 27 al 29 giugno) e del parco a lui dedicato di Pineta, fra l’altro prima tappa della visita dell’illustre ospite prevista per il 25 alle 18. 30.
Un trionfo di numeri precisi che ha calamitato colui che firmò, nel 2018, un volume pubblicato pure in italiano: “Una strana tribù: Memorie di famiglia” (Marlin) e che sarà anche sul palco del Cinecity di Sabbiadoro dalle 19.45 di sabato 29 a dialogare con i prestigiosi vincitori dell’edizione 2024 del Premio: Benjamin Labatut, Irina Ščerbakova, Vittorino Andreoli, Francesco Finotto e Vincenzo Schettini.
Lei è nato un anno prima che il celebre nonno decidesse di farla finita. I suoi l’hanno cresciuta nella leggenda del più grande romanziere del Novecento o dichiara altre fonti?
«Dai libri fondamentalmente. A tredici anni cominciai a leggere più storie che potevo, ma ero ancora troppo giovane per capire a fondo la tematica dei romanzi, quindi lasciai passare del tempo finché mi sentii intellettualmente pronto per affrontarli. Avevo venticinque anni e vivevo a Milano ospite del fratello di Ernest. I miei, di lui, me ne parlarono il meno possibile».
E come mai se non sono indiscreto?
«Per il mio papà era difficile. Come spiego in “Strana tribù” il babbo soffriva di bipolarismo e il nonno di frequenti depressioni. Eppure sono stati due uomini assai in gamba. Gregory, giusto per dimostrare quant’era caparbio, a sessantacinque anni cambiò sesso diventando Gloria. Lo disse a mia sorella la quale m’informò di ciò che stava per accadere. “E se tu ti ritrovassi in casa un’altra mamma come reagiresti?”. Non dissi nulla. Essendo lui un medico, pensai, saprà cosa fare».
A volte si nasce in un corpo sbagliato.
«Questo non lo so. Credo che nella pubertà possa succedere di non capire cosa si vorrà diventare, troppi ormoni in circolo. Ernest affrontò la questione ne “Il giardino dell’Eden”, il libro postumo del 1986, sul quale lavorò per quindici anni. La storia si concentra su una coppia ma anche sull’inversione dei ruoli di genere. So che per la trasformazione sono necessari cinque interventi e, soprattutto, sai di non poter tornare più indietro».
Come mai decise di venire a vivere in Italia?
«Studiavo la vostra lingua a Los Angeles e, per impararla al meglio, sapevo che avrei dovuto vivere nel Bel Paese e scelsi Milano. Spesso andavo a mangiare da uno zio molto milanese il quale mi parlava in dialetto quando stavamo a tavola: “Ti pias minga John? ”, mi diceva. Sono stati ventidue anni molto belli. I miei figli sono nati in Lombardia».
Tornando a mister Hemingway senior: sapeva che nel 1954 venne a Lignano? Qualcuno glielo ha raccontato?
«L’amico Giorgio Ardito, che mi ospiterà nella trasferta friulana assieme a mia moglie Cristina, è stato l’artefice della conoscenza di certi fatti che ignoravo. Venni a sapere che il nonno ebbe anche la possibilità di costruire una villa a Lignano, ma in quegli anni lui viveva a Cuba e quando abbandonò l’isola alla fine della rivoluzione traslocò in Idaho, nella parte occidentale del Paese. E poi si suicidò. Così quella famosa casa non fu mai costruita».
Lei si è dedicato alla scrittura per una passione ereditata?
«Può darsi. È sempre molto difficile raggiungere la propria unicità, alle volte non basta una vita. Adesso sta per uscire un libro mio “Ron Echeverría. A Miami story”, un noir strettamente legato all’attualità del confine meridionale degli Stati Uniti, il cui protagonista è il fratello del morto ammazzato del precedente romanzo noir “Murder on the Florida Straits”.
Mi spiace chiudere con una domanda inflazionata. Mi perdona se le chiedo qual è il libro di E. H. che l’ha davvero affascinata?
«Ma certo!! La perdono. Due, sicuramente: “Per chi suona la campana” e, naturalmente, “Il vecchio e il mare”, un capolavoro. Ma non tralascerei i suoi famosi “49 racconti”. Leggeteli».