La Venezia che fu in bianco e nero sui muri della città
L’iniziativa dell’associazione Il Provvisorio. Nei manifesti le immagini di ieri per capire la città di oggi. Dal tuffo in canale alla partita di basket alle Zitelle
VENEZIA. Quattro fotografie in bianco e nero, quattro domande. La Venezia di ieri interroga dai muri della città la Venezia di oggi e, senza aspettare risposta, la invita a riflettere. Un tuffo di ragazzi nel Canale della Giudecca, una partita di basket, il camion del pollo allo spiedo della festa dell’Unità davanti alla Casa dei Tre Oci, la scritta contro il fascismo alla Giudecca.
Sono i manifesti affissi in questi giorni per iniziativa de Il Provvisorio, progetto di rigenerazione urbana e sociale pensato per gli spazi del CZ95 alle Zitelle e costituito da un gruppo di associazioni - tra cui Circolo Arci Giovani Luigi Nono, associazione culturale Baba Jaga, Poveglia per Tutti, Circolo fotografico La Gondola - con l’obiettivo di richiamare l’attenzione verso il presente (e il passato) della città.
Le immagini, degne di finire in una mostra, arrivano dalla Fondazione Archivio Luigi Nono o portano la firma di Bruno Montesco e Graziano Arici, e giungono da un altro secolo, quando i ragazzini si arrampicavano con la corda sulle bricole per poi tuffarsi in canale (“Ricordi?”) o un camion, che oggi farebbe rizzare i capelli, sbarcava sulla riva della Giudecca (“Eccezionale?”) con ombrelloni, tavolo e spiedo per nutrire con le proteine nobili del pollo i partecipanti della Festa dell’Unità.
«Il nostro obiettivo è quello di attivare uno sguardo, un pensiero, sulla città - spiega Irene Bedin, una delle organizzatrici de Il Provvisorio - per riflettere sui cambiamenti che ci sono stati e mostrare che ci sono altre possibilità per Venezia, proprio ricordando quello che siamo stati».
Guardano tutti la palla, in uno scatto del 1955, i giocatori di basket - Junghans contro Reyer - in un campo vicino alle Zitelle, poi diventato pista di pattinaggio e ora abbandonato. «Abbiamo ricevuto telefonate da parte di veneziani che hanno riconosciuto nella fotografia i loro genitori - spiega ancora Irene Bedin,- questo significa che i manifesti hanno riattivato i ricordi, che è uno dei nostri obiettivi».
In calce alla fotografia, una domanda che in tempi pandemici possiede tutta la nostalgia del futuro: «A quando la prossima?». —
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