Mozambico: Il terrore jihadista si scatena contro i cristiani

Mentre il terrorismo si scatena in Russia e riprende forza nelle ex repubbliche sovietiche, è caccia ai cristiani in Africa Meridionale. E il Mozambico ne è l’epicentro. La recrudescenza degli attacchi jihadisti contro i «crociati» dall’inizio dell’anno è letteralmente esplosa, concentrandosi in particolare contro i nostri missionari. Il che ha costretto sacerdoti, suore e altri operatori della Chiesa cattolica a fughe impreviste, che né il Vaticano né le Ong riescono a gestire, tantomeno a governare. Motivo per cui ancora oggi si contano a decine le persone con i quali si è perso ogni contatto. Delle incursioni contro i cristiani sono responsabili gli insorti antigovernativi che hanno messo nel mirino la provincia settentrionale di Cabo Delgado dove, dopo un periodo di relativa calma, sono ripresi attentati, rapimenti e omicidi indiscriminati. L’insurrezione era partita dal nord del Mozambico già nel 2017, quando lo Stato islamico si era scatenato con lo scopo dichiarato di rovesciare il governo laico del presidente Filipe Nyusi e imporre la Sharia, la severa legge islamica. In campo, le sigle ricorrenti nella galassia jihadista africana: Ansar al-Sunna («I sostenitori della tradizione») conosciuti anche come Al-Shabaab («La gioventù») che nulla hanno a che fare con gli omologhi somali che sono fedeli ad al Qaida.

Dal suo inizio la ribellione armata ha causato complessivamente 900 mila sfollati e oltre tremila vittime, concentrate in particolare nei distretti di Mocímboa da Praia e Macomia. Fonti locali fanno sapere che gli insorti stanno ora coinvolgendo i villaggi di Nambo, Messano e Pangane, posizioni strategiche per l’avanzata lungo la costa degli estremisti islamici. Tutto viene rigorosamente documentato dagli assalitori sui canali Telegram, dove sono mostrati in presa diretta i momenti nei quali vengono abbattute le croci dalle chiese cristiane, poi date alle fiamme insieme ai villaggi. La narrazione avviene secondo questi toni: «Con il permesso di Allah, mercoledì 25 Sha’ban (11 febbraio, ndr), i soldati del Khilafah hanno attaccato il villaggio cristiano di Polo, nella regione di Metuge, a Cabo Delgado, uccidendo sei cristiani e bruciando 29 case e scuole cristiane». E il messaggio che precede le scorrerie è inequivocabile: «Dichiariamo guerra a tutti i cristiani nel mondo che non intendono convertirsi o pagare la jizyah (una tassa che dev’essere imposta da ogni Califfato locale ai non musulmani secondo il Corano, ndr). Se non avrete pagato la jizyah sarà guerra fino alla fine del mondo. Ai musulmani annunciamo invece la pace. Lavoriamo insieme per difendere la religione di Allah. Se rifiuterete, sarete uccisi».

Prima di colpire direttamente i cristiani, gli insorti avevano già interrotto il progetto estrattivo di Area 1 a guida della compagnia francese di idrocarburi Total, peraltro antagonista del progetto energetico dove l’Italia, prima con il governo Draghi e poi con il governo di Giorgia Meloni (si veda il Piano Mattei per l’Africa), ha individuato proprio nel Mozambico uno dei partner strategici più rilevanti. Qui i progetti di sviluppo europei già approvati per sfruttare le riserve di gas naturale nel bacino di Rovuma (classificato tra i più grandi al mondo, con una stima delle risorse di 2.400 miliardi di metri cubi, al largo di Cabo Delgado), sono tre: due di questi prevedono di convogliare il gas dal fondale marino alla terraferma, raffreddandolo in un impianto per esportarlo via mare allo stato liquido (è quello gestito da Total in Area 1), e i lavori sono andati avanti fino a quando non sono stati sospesi a tempo indeterminato dopo l’attacco armato a Palma, marzo 2021; l’altro progetto, guidato dalla statunitense Exxon Mobil e appunto dall’italiana Eni (consorzio Area 4), resta invece sulla carta.

All’Area 4 fa capo anche un terzo progetto - invece già completato - che consiste in una piattaforma galleggiante per l’estrazione e il trattamento del gas per l’esportazione direttamente in mare, avviato nel novembre 2022 e dalla capacità estrattiva di gas naturale liquefatto pari a 3,4 milioni di tonnellate all’anno (mentre l’Area 1 punta a superare i 13 milioni tra offshore e onshore). L’Italia, dunque, è in prima linea. Da tempo, infatti, figura tra gli investitori principali nel Paese: secondo i dati della Banca centrale mozambicana, nel 2022 è stata il secondo a livello europeo e il quarto a livello globale, con un flusso di oltre 150 milioni di dollari di investimenti diretti. Adesso, però, il pericolo jihadista rischia di rimettere in discussione i piani italo-africani. Non sono bastate le iniziative governative quali il dispiegamento prima delle Forze armate di difesa del Mozambico (Fadm) e poi del contingente della Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Sadc): la rivolta è tornata a divampare al momento non sembra smorzarsi. Il Mozambico, del resto, è uno Stato laico soltanto sulla carta: secondo le stime più recenti (2020), a fronte di un 26 per cento della popolazione che aderisce alle credenze tradizionali e di un 55 per cento cristiano, vi è un 17,5 per cento islamico sunnita, il cui peso specifico però è determinante e in grado di sconvolgere la sicurezza nell’intera regione, visto che qui l’Islam si traduce in furiosa guerriglia antisistema. Gli obiettivi e le operazioni del gruppo Al-Shabaab, e le sfide che questo pone al governo di Maputo, sono simili a quelli dei gruppi terroristici più temuti in altri Paesi africani. Anche per questo il Dipartimento di Stato americano ha designato Al Shabaab e Isis-Mozambico (le cui sigle si sovrappongono e le cui differenze sbiadiscono, alla luce dei fatti) come «organizzazione terroristica straniera» nel marzo 2021 e allo stesso tempo ha designato il suo leader originario della Tanzania, Abu Yasir Hassan, come «terrorista globale».

Nell’agosto 2021 anche il comandante militare Bonomade Machude Omar, noto come Abu Sulayfa Muhammad, è entrato nella «black list» Usa, anche se nell’aprile 2023 notizie non confermate riferiscono di un ulteriore cambiamento nella struttura di leadership. Nonostante le rassicurazioni del governo di Nyusi, interessato a far ripartire i progetti estrattivi il prima possibile, nel nord del Mozambico la situazione è prossima al punto di non ritorno a causa degli scontri. Fernando Cardoso, ricercatore e specialista in Africa dell’Università autonoma di Lisbona, ha affermato che i gruppi terroristici islamici in Africa «stanno diventando sempre più interconnessi, rendendo loro più facile rispondere ai progressi delle forze di sicurezza. Zone particolarmente vulnerabili come il Mozambico settentrionale sono lasciate indifese contro gli jihadisti pesantemente armati, con il pericolo di una loro “somalizzazione”». È una tesi condivisa dall’esperta di sicurezza mozambicana Egna Sidumo che, presso l’Università di Bergen in Norvegia, studia una possibile via d’uscita dai conflitti per Cabo Delgado: «Sono sempre più numerosi i combattenti di diverse nazionalità - soprattutto congolesi, ugandesi e tanzaniani, ma anche keniani e sudafricani - che convergono a Cabo Delgado» che, a giudicare dagli ultimi movimenti registrati, è diventato un «safe heaven», un rifugio sicuro per il jihadismo regionale. Anche perché «le forze di sicurezza chiamate a rafforzare la cooperazione internazionale in relazione a una sfida che non è semplicemente interna al Mozambico, finora hanno agito solo in misura assai limitata. Quando vengono messi sotto pressione, infatti, i combattenti islamici dell’Africa meridionale si ritirano con le loro armi dal Congo alla vicina Tanzania. E da lì, per condurre nuove incursioni, il Mozambico non è lontano».