Donbass, ospedali in trincea: Avdiivka porta le ferite della guerra da otto anni
I missili e i colpi di artiglieria qui sono incessanti
Ieri Avdiivka si è svegliata sotto il rumore incessante dell’artiglieria, colpito per la seconda volta in una settimana il supermercato dove erano immagazzinate le scorte di cibo. Il giorno prima era stato colpito per la seconda volta anche l’ospedale, dove da un mese il dottor Mikhail Orlov, unico chirurgo rimasto in città, ha scelto di vivere. Perché se tornasse a casa, non sarebbe certo di poter raggiungere l’ospedale e quindi i suoi pazienti il giorno successivo. Così ripara nel seminterrato della struttura. L’ala colpita dal missile dall’esterno sembra intatta. Il dottor Orlov lo grida: «È l’inganno della guerra».
E ha ragione, perché dentro, appena superata la porta d’ingresso, giacciono a terra i resti del missile, i letti danneggiati, i mobili distrutti. È l’inganno della guerra, è lì che colpisce intimamente anche se fuori tutto sembra ancora immacolato.
Avdiivka, come il suo ospedale e i suoi feriti, porta le ferite della guerra da otto anni, dall’inizio della guerra contro le repubbliche separatiste. Ma fino a febbraio il conflitto aveva un altro volto, aveva soprattutto un’altra intensità. Oggi il Donbass ucraino è il bottino che serve a Putin per indossare l’uniforme del vincitore in occasione della parata del 9 maggio, giorno in cui si celebra la Grande Guerra Patriottica.
È l’inganno della guerra anche la randomica sorte dei missili. Come quello che l’altro ieri ha colpito un edificio nel blocco residenziale 9, gli ultimi edifici di Avdiivka da cui si vede l’altra parte, i separatisti, Donetsk. Il missile ha distrutto gli appartamenti di due piani, in uno viveva un veterano della guerra. A terra la sua medaglia al valore e una targa che gli era stata assegnata durante una celebrazione di qualche anno fa, porta la data: 9 maggio 2010, per la Grande guerra patriottica.
Il confine è il luogo in cui le ragioni si confondono e in cui, proprio per questo le guerre si capiscono meglio, perché il confine è il luogo dei dubbi. Come quelli di Nastia che vive sottoterra mentre tutto intorno la primavera esplode, i tulipani e gli alberi in fiore si fanno beffa del fragore dei colpi e delle mura incenerite. Resta nello scantinato con la sua casa distrutta tre piani sopra. Disoccupata lei, disoccupato suo marito, una figlia di sei anni che ha già imparato a non chiedere e dice: «Eccolo, arriva» quando sente il sibilare di un missile in arrivo.
Della guerra Nastia sa solo la paura di sua figlia e che vuole che finisca. Non importa come, non importa chi sia a reclamare la vittoria. Posizione comune qui, sulla linea di contatto. «Se entrassero le truppe russe domani, Nastia?», le chiedo. «Forse troverei lavoro, dice, potrei spostarmi di nuovo a Donetsk, come prima».
Fuori, a distribuire cibo, ci sono i volontari della polizia locale. Ogni mattina caricano un camion con i pacchi di cibo per raggiungere chi non è voluto andare via. Tra loro anziani, disabili, persone vulnerabili per cui non c’è ancora un piano di evacuazione.E anche chi, come Nastia, malcela un consenso per l’esercito che combatte, sì, ma dall’altra parte.
Il soldato Vitaly
Vitaly Baradash è il capo dell’amministrazione civile e militare della città di Avdiivka, siede di fronte alla sede temporanea dei gruppi di volontari che distribuiscono cibo e acqua ai civili rimasti in città. Da quando è iniziata la seconda fase dell’offensiva, il 18 aprile, cambiano spesso sede per timore di essere colpiti dall’artiglieria russa. Prima del 2014 Vitaly viveva a Donetsk. Era sposato con una donna di origini russe da cui ha avuto una figlia. Quando è iniziata la guerra ha scelto di combattere per difendere i confini dell’Ucraina, ed è tornato ad Avdiivka. Il suo matrimonio è finito. Con sua moglie non parla e non vede la figlia da allora. «Donetsk è a pochi chilometri da qui, si vedono i palazzi laggiù» dice Vitaly, la cui biografia riassume le dolorose sfumature di questa guerra.
L’edificio distrutto
Un edificio distrutto ad Avdiivka. Da quando è iniziata la seconda fase dell’offensiva l’amministrazione locale ha chiesto ai cittadini di lasciare l’area e in città sono rimaste solo 6 mila persone delle 30 mila che abitavano la città prima dell’inizio della guerra. Un tempo Avdiivka era una cittadina residenziale per le persone che lavoravano a Donetsk, prima che la città fosse conquistata dai separatisti nel 2014. Da allora Avdiivka è avamposto, zona di confine, limite della prima linea del fronte dove l’esercito ucraino ha scavato chilometri di trincee intorno alle case che circondano la città, trincee che servono a proteggerla anche ora che è sotto la minaccia di un’invasione imminente.
Nastia, mamma di Kira
Anastasia Trandafilova, per tutti Nastia, vive nello scantinato del suo palazzo da tre settimane. L’altro ieri un missile ha distrutto il terzo piano e danneggiato pesantemente l’appartamento dove viveva con la sua famiglia, un piano sotto. Nastia ha sentito l’urto mentre dormiva con sua figlia Kira, di sei anni. Non mostra dolore, nel raccontarlo, esprime solo una grande stanchezza. La fatica di chi sceglie di restare perché non ha alternativa. Disoccupata lei, disoccupato suo marito. «Se andassimo in altre città del Paese, come Dnipro, saremmo solo della povera gente in una città considerata, oggi, sicura. Ma tutti sappiamo che non esiste più un luogo sicuro in questo Paese, e allora tanto vale restare qui, sottoterra, almeno sopra c’è il posto in cui la bambina è nata, e quello che resta dei suoi vestitini e dei suoi giochi».
Kira, sei anni
Kira Trandafilova ha sei anni. Vive in uno scantinato del blocco 9 di Andiivka con la sua famiglia da tre settimane. Sua madre Nastia dice che Kira non fa domande «ha imparato cosa le succede intorno senza chiedere, quando sente il rumore dei missili sa che deve andare immediatamente sul suo letto, e corre nella stanza che le abbiamo destinato, qui sotto. È il posto più sicuro. Kira capisce, ma ha paura». Kira capisce, ha paura ma la tace. Lì, nel sotterraneo, non ci sono bagni. L’aria è umida, stantia. Sua madre non vuole farle vedere com'è ridotta casa loro. Kira saltella tra le tubature e il cemento, non fa domande, capisce, ha paura. Ma la tace. Vorrebbe tornare fuori, all’aria. Della vita di prima la cosa che le manca di più sono le passeggiate con sua madre verso la scuola, anch’essa colpita dai missili.
Tra i detriti
Un uomo raccoglie i detriti del suo appartamento distrutto da un attacco missilistico in arrivo dalla Repubblica Separatista di Donetsk, ieri. Il quartiere in cui vive, il blocco 9 di Avdiivka, è l’ultima area residenziale prima di Donetsk, occupata dai russi. Fino a ieri nel suo isolato erano rimaste solo tre persone: lui, sua moglie e Natalia Mykolaivna, la direttrice della scuola locale, ormai in pensione. Natalia camminava smarrita nel quartiere, i bagagli pronti, l’ultimo saluto a ciò che resta della casa, e alla scuola adiacente: «Ho vissuto qui per quarant’anni, di cui otto di guerra. Non ho mai pensato di andarmene, nemmeno all’inizio, nel 2014. Ieri quando il missile è entrato nel nostro palazzo, mi sono arresa. Questa non è una battaglia tra due eserciti, è una guerra contro i civili».