L’urlo dell’Ucraina a Davos: “Ci servono armi pesanti, vogliamo vincere la guerra”
Il vertice di manager e banchieri si apre con il messaggio di Zelensky. Le deputate di Kiev: «L’Occidente deve rafforzare il nostro arsenale»
DALL’INVIATO A DAVOS. Yevheniya Kravchuk estrae dalla borsa un cubetto di metallo pesante, appena arrugginito, in apparenza innocuo. Dice che si tratta del frammento di una bomba a grappolo russa, una di quelle che, assicura la deputata portavoce del partito di Volodymyr Zelensky, «fanno a pezzi i corpi al punto da rendere impossibile ogni riconoscimento e conta». Il frammento appare fuori luogo sulla tavola ben apparecchiata del ristorante scelto dalla delegazione parlamentare ucraina come base per difendere le ragioni del popolo degli assediati. Fuori luogo, ma non strano. Perché nella prima edizione estiva del World Economic Forum gli schemi saltati sono parecchi.
Non c’è la solita neve a Davos, al posto del gelo del vertice slittato causa Covid si costituisce un colpevole caldo umido e piovoso. Non c’è traccia dei russi ripudiati con i loro party, il caviale e le “interpreti” tanto bionde quanto ambigue. Niente Xi come nel 2017, niente Trump come nel 2020, e ovviamente assente Putin che apparve in gran spolvero digitale nel 2021. È tutto un nuovo mondo, gravemente malato, in cui anche la globalizzazione venerata da banchieri e top manager non si sente bene. La stella stavolta sarà il presidente di Kiev, l’ex attore che stamane consegnerà ai Signori del Mondo un messaggio preciso. E cioè che costa meno mandargli più armi pesanti che continuare con questa sporca guerra.
A fianco dell’onorevole Kravchuk siede Anastasiia Radina, presidentessa della Commissione Anticorruzione, con Yulia Klymenko, numero due della Commissione Infrastrutture che si presenta come economista all’opposizione anche se, concede, «torneremo a discutere di opposizione e governo dopo la guerra, perché ora serve avere una voce sola». Sono tre donne determinate che parlano di pace e di guerra, persuase che l’una sia indissolubilmente legata all’altra. Hanno già incontrato i senatori americani e la direttrice del Fondo monetario, Kristalina Georgieva. «Non siamo qui per parlare di come fermare questo conflitto bensì di come vincerlo», dichiarano all’unisono. Ecco cosa dirà Zelensky, oggi.
C’è già stato a Davos, il presidente, e può sembrare strano rivederlo nelle immagini di due anni fa sul palco del Forum con la grisaglia e la cravatta scura. Nel discorso, ricordano le parlamentari, avvertì che «Putin avrebbe provocato una catastrofe se non fosse stato fatto qualcosa, aveva previsto che prima o poi sarebbe successo quel che è successo». Adesso che il peggio è fatto, la sua linea sarà dura. Durissima. Secondo la Kymenko la linea è che «dobbiamo vincere la guerra e che non ci deve essere alcuna concessione territoriale ai russi: se vogliamo arrivare alla pace, l’Occidente ci dia tutte le armi pensanti necessarie per battere il nemico». Aerei, cannoni, tecnologie. Le sapete usare? «Mio marito Andriy è un banchiere d’affari e combatte grazie alle sue doti di tiratore a distanza: il nostro esercito può fare anche questo; prima comincia, prima impara».
Questione di vita e di soldi. La contabilità della guerra delle tre deputate è di 7 milioni di ucraini sfollati all’interno del Paese e cinque milioni che lo hanno lasciato, quasi tutte donne con bambine che vorrebbero poter tornare. Parlano di campi di concentramento, deportazione in Siberia, civili affamati. Per i morti non trovano un numero. Stimano in cento miliardi il conto della ricostruzione delle sole infrastrutture. Seicento ce ne vorrebbe per rimettere in piedi le case e tutto il resto. Il Pil è sceso del 30 per cento. Sino ad ora, però. «Se la guerra continua il conto diverrà più esoso – puntualizza Anastasiia Radina – e allora la morale è semplice: più armi pesanti ci darete, meno costosa la ricostruzione. Vedete voi cosa conviene».
Yevheniya Kravchuk, fedelissima di Zelensky, estrae a questo punto una foto che ritrae il marito su un tank russo bruciato e distrutto. Orgoglio familiare e nazionale. Rifiuta come «propaganda» le parole di Mosca sulla vittoria dell’acciaieria a Mariupol. «I nostri soldati hanno fatto il loro dovere sino in fondo, hanno distratto per settimane l’attenzione delle truppe russe, ci hanno fatto guadagnare tempo”, commenta. A questo punto era “inutile sacrificarle, la missione era compiuta, ogni vita è importante”. Al Cremlino minacciano di ucciderli come terroristi? “Ancora propaganda – insiste – e se qualcuno rischia, sarà meglio della certezza di perderli tutti”.
Anastasiia Radina chiede “armi pesanti, sanzioni pesanti, finanziamenti pesanti”. Ce l’ha con l’Italia che ha permesso di aggirare l’embargo pagando l’energia in rubli. Yulia Klymenko interviene e chiede come mai non si sia ridotta la dipendenza alle risorse russe, con un sorriso amaro sottolinea che “al primo esame del primo anni di Economia ti insegnano che la regola fondamentale è diversificare”. Ancora la Radina: “Le giovani generazioni hanno dimenticato la storia, faticano a credere che un missile lanciato dal mar Caspio possa colpire Parigi”. Fermare Putin, interviene la Kravchuk, “vuol dire fermare un uomo che nel XXI secolo ha aggredito uno stato sovrano e umiliato l’occidente».
Così Zelensky inviterà il Forum, i ricchi e potenti, i leader e i loro elettori, a non avere indugi. Anastasiia Radina è certa che, se non si ferma il circolo vizioso, «dopo Putin verranno un Putin 2 e un Putin 3, nessuno sarà più al sicuro». Suggerisce un approccio globale, insieme con le due colleghe riassume la minaccia alimentare e sociale: il 70% dell’Egitto dipende dal grano ucraino, il 90% della Libia pure, la Cina ha 12 mesi di scorte, se non riparte il commercio ci sarà una crisi dopo l’altra. «La soluzione è la Pace, non la resa: la sola via di uscita è la vittoria dell’Ucraina senza concessioni».
Anche questa è propaganda, a ciascuno la sua. Il che rimanda alle parole di Klaus Schwab, 84enne fondatore del Forum di Davos, quando profetizza che i libri di Storia registreranno l’attacco russo all’Ucraina come «la fine dell’ordine nato dopo la seconda guerra mondiale e la Guerra fredda». Lui, svizzero visionario e controverso, aveva fissato l’equazione fra sviluppo sostenibile e benessere diffuso in un Grande Riassetto (Reset) di valori. Putin ha accelerato la reimpostazione del paese deteriorando la prospettiva. «Il mondo si sta frammentando» denuncia Schwab. Il mondo è in guerra, rischia recessione e inflazione, il peggio potrebbe essere dietro l’angolo, e il Forum dovrà chiedersi quale possa essere la soluzione condivisa migliore. E l’Ucraina? «Il 25 torniamo a Kiev, un viaggio di 48 ore e continueremo a combattere», replicano le deputate. E suo marito, signora Klymenko? «Ha una buona mira, spara bene, colpisce da un chilometro. Vinceremo anche grazie a lui».