Sofia Gottardi racconta con ironia l’autismo a 44 mila followers
foto da Quotidiani locali
«Ho scoperto di essere autistica solo alla fine del 2022, prima della diagnosi pensavo di essere stupida perché c’erano un sacco di regole sociali che non capivo. Un giorno la mia migliore amica mi ha chiesto: “Sofia secondo te ho il naso grosso?”. Le ho risposto: “Sì”». Racconta con ironia il suo essere strana, diversa dalla maggior parte delle persone Sofia Gottardi, 27 anni, comica nello spettro dell’autismo di Montecchio Maggiore. Fa stand up comedy, arte che va forte negli Stati Uniti d’America, e video sul web.
Gioca sull’autoironia «per anni ero un carlino da circo che si fingeva un cane da corsa» dice; i suoi monologhi parlano di minoranze, sessismo, razzismo, bullismo, con cui ha convissuto per anni. Su Instagram, social che predilige, ha 44 mila follower. Ha scritto il primo testo a 15 anni, a 17 era la stand up comedian più giovane d’Italia.
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Sofia, come ha scoperto di essere autistica?
«Fin da bambina c’erano dei tratti, ma decisero di non darmi una diagnosi. Crescendo ho cominciato a vedere sui social autistici adulti che ne parlavano, ho capito che molte cose che sapevo sull’autismo erano sbagliate. Ho cominciato un percorso diagnostico e una specialista mi ha dato la conferma. Ho trascorso un’esistenza a buchi di formaggio perché non riuscivo a dare un nome a quello che sentivo».
Quali sono le sue maggiori difficoltà?
«Le regole sociali non scritte che per la maggior parte delle persone sono ovvie per me non lo sono. Mi trovavo a dire cose inopportune, una persona se era arrabbiata con me doveva esplicitarlo. Ho collezionato centinaia di figure pessime. Con gli anni ho imparato come si fa e va molto meglio. Non riesco però a fare più cose contemporaneamente, a separare i vari stimoli; sento tutto di colpo e vado in stra-confusione. A scuola ero la strana della classe, il primo anno di superiori nessuno voleva stare in banco con me. Mi sentivo isolata stando in mezzo alla gente. I rapporti sociali, anche se positivi, mi stancano. A volte rinuncio ad andare a una festa perché mi devo riposare».
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Stare sul palco la aiuta?
«Sul palco sto bene, parlo di cose che mi stanno a cuore e mi interessano. Usare l’ironia mi ha sempre divertito. È un’arma positiva. Mi sento più comica che attivista, ma ci tengo a fare umorismo contro le discriminazioni».
Lei ha scritto su Instagram: “Il problema delle persone neurodivergenti non è la loro neurodivergenza, ma la disinformazione”.
«La tendenza è credere ai luoghi comuni e non alle persone autistiche che hanno la possibilità di raccontarsi, è credere che la salute mentale, il rispetto delle diversità, il dialogo tra le parti differenti non abbia valore».
Primo punto: l’autismo non è una malattia.
«È un modo di essere, una neurodivergenza, non si guarisce, come dal disturbo dell’attenzione, dalla sindrome di Tourette. Pensiamo che lo sfarfallio delle mani sia una cosa da pazzi e pericolosa, in realtà l’autistico lo fa solo perché è stressato e con quel movimento si sente meglio. La mente degli autistici funziona in modo diverso. Tutto qui. Ci sono gli autistici con deficit cognitivi, ma anche autistici senza deficit cognitivi come me. E non è vero che sono tutti geni in matematica».
I suoi “interessi assorbenti” quali sono?
«Vado pazza per la musica metal. Amo la comicità, la psicologia, la scrittura, l’arte in generale. Leggo molto e mi documento».
Rossetto nero, borchie, fanno parte del personaggio?
«No, sono proprio così. Ho sempre avuto uno stile eccentrico. Mi piace che le persone pensino: “E’ strana come me, quindi non mi giudicherà”».
Attorno a noi ci sono molte più persone autistiche di quello che pensiamo.
«Molte persone che fanno parte della generazione x o i baby boomer sono autistici, ma non sono mai stati diagnosticati un po’ per lo stigma che c’è verso questa parola, un po’ per la mancanza d’informazione e di ricerca. Mi dicono: “Tu non sei autistica perché sei autosufficiente”. L’autistico non deve per forza avere deficit cognitivi visibili. Può sembrare “normale”, ma in realtà ha un terribile mal di testa perché sente i rumori in modo amplificato».
A quali comici si ispira?
«A nessuno, apprezzo Maria Bamford e George Carlin, mancato nel 2008, entrambi statunitensi»
Nei suoi stand up il rischio è diventare la caricatura di se stessa.
«Non ho questa paura, il fine principale è far ridere, è intrattenere, veicolare un messaggio».
Si definisce “Un coniglietto che guida un carro armato”. Perché?
«Ho un modo di stare sul palco che spesso è energico, sembra che non mi faccia problemi. In realtà sono molto sensibile e ho vissuto momenti faticosi. La comicità è davvero la chiave per stare meglio».
È finita anche su Smemoranda.
«Questa cosa mi ha fatto molto piacere e molto ridere. Significa che so scrivere anche cose adatte ai bambini. Nei miei monologhi c’è più di qualche parolaccia. Sorrido perché immagino una mamma che compra il diario, poi mi vede su Tik Tok».