La società segreta che vuole salvare le parole che rischiano di sparire: l’esordio di Enrico Galiano nella narrativa per i più giovani
La presentazione a Villa Dolfin di Porcia in prima nazionale
UDINE. Ci sono missioni clandestine, messaggi in codice, sparizioni e misteriosi rapimenti degni del migliore dei gialli; due ragazzini come il tenero Samu, capace a colazione di incantarsi mezz’ora a fissare una foglia sull’albero, con la fetta biscottata che gli penzola dalla bocca, o di finire nel freezer di un ristorante e la bella Rachele, capelli corvini e calzini spaiati, che gli fa battere il cuore.
E poi c’è Nonnasquì – prendete la bruttezza della zia più brutta che avete e moltiplicatela per cento – con un “coso” sulla spalla ribattezzato pappacorvo, e c’è Nico, l’amico per la pelle di Samu.
Insomma, una banda alquanto sgangherata che si lancerà a capofitto nell’impresa di salvare le parole che qualcuno sta facendo scomparire. Insegna l’importanza di proteggere sempre la nostra arma di difesa più preziosa contro il male del mondo – le parole, appunto – ma è nello stesso tempo una storia di coraggio, amicizia e lealtà quella raccontata in La società segreta dei salvaparole (Salani Editore). Movimentato da una grafica accattivante e dalle illustrazioni umoristiche di Stefano Tambellini, il libro segna l’esordio nella narrativa per ragazzi di Enrico Galiano, lo scrittore pordenonese e “prof” fra i più amati d’Italia.
Uscirà giovedì, giorno in cui sarà presentato a Villa Dolfin di Porcia (alle 16.45), in prima nazionale, a cura della libreria per ragazzi Baobab. Per la prima volta, l’autore, che ha pubblicato diversi romanzi di successo e un saggio, si rivolge esplicitamente ai ragazzi con cui si relaziona tutti i giorni, i suoi alunni delle scuole medie, ricorrendo a un linguaggio nuovo, ma tornando su un tema che gli è caro, le parole, già presente nel suo primo romanzo Eppure cadiamo felici, e nel seguito Felici contro il mondo, «Soprattutto in questi ultimi due anni mi sono accorto di come le parole abbiano sempre più peso, di come possano fare male o bene. Insegnando ai preadolescenti, ci si rende conto di quanto tutti noi siamo le parole che ci hanno detto, le parole con cui ci hanno descritto quando eravamo piccoli, con cui ci hanno offeso o esaltato. E di come ogni educatore abbia il potere di cambiare in meglio, con le parole che usa, la vita di un ragazzo».
Soprattutto di quelli come l’adorabile e intelligente Samu che però è probabilmente affetto da “disturbo dell’attenzione” e non viene accettato dai professori. Problemi, così come quello della dislessia, «rispetto ai quali – afferma Galiano - la scuola è ancora molto indietro. Del resto, quando personalità autorevoli parlano di “sovradiagnosi per giustificare asini e fannulloni” si capisce quanto questa mentalità sia dura da abbattere. Volevo raccontare anche di questo, di come la scuola abbia il dovere di non sprecare le potenzialità di questi ragazzini sempre geniali, sagaci, capaci di stupire».
C’è poi un momento chiave nel romanzo, quando Samu, parlando dei grandi, dice: “Hai sempre quella sensazione che loro non si fidino di te. E così poi finisce che anche tu ti fidi meno di te stesso!”. È qui che il libro svela la sua anima. «Si dice che questa generazione abbia poco sprint, poca iniziativa – ancora Galiano - io penso però che quest’ansia, questa difficoltà, non sia roba loro, ma rifletta qualcosa che assorbono dagli adulti, perché non ci fidiamo di loro, non li lasciamo muovere da soli nel mondo. Dobbiamo imparare a farlo, invece, se vogliamo che si fidino di loro stessi».
Suggerimenti preziosi, distillati dalla pratica quotidiana (non a caso il prossimo libro di Galiano, che uscirà per Garzanti, parlerà di cosa lui ha imparato dagli studenti), ma difficili da applicare, dopo una pandemia e all’ombra pesante della guerra. «I ragazzi soffrono molto ed esternano a modo loro: con i disturbi alimentari, con gli accessi di rabbia, avvicinandosi sempre più precocemente a esperienze pericolose. Anche noi adulti siamo probabilmente spaventati e incerti, ma continuando a litigare (vax e no vax, pro Putin o contro Putin...) non mandiamo il messaggio che dovremmo, quello del rispetto reciproco. Non è bello il mondo che vedono dal loro punto di osservazione».