La guerra al punto di partenza, i russi seguono il copione di sempre: conquistare dopo aver distrutto
Nel Donbass la battaglia che deciderà l’esito di un conflitto senza vincitori
La guerra in Ucraina che sta entrando nel suo terzo mese ha cambiato natura.
Prima del 24 febbraio gli osservatori e analisti militari ritenevano che la schiacciante superiorità numerica vantata dall’esercito russo rendesse la vittoria una mera questione di tempo, in pochi si chiedevano se la Russia avrebbe vinto, la domanda era piuttosto quanto velocemente l’avrebbe fatto.
Quello che gli analisti non prendevano in considerazione, come sottolinea Liam Collins, direttore del Modern War Institute, l’accademia militare degli Stati Uniti a West Point era che «le prestazioni in tempo di guerra sono influenzate da qualcosa di più del funzionamento delle armi. Il successo in battaglia è anche una funzione della strategia, dell’impiego operativo, della dottrina, dell’addestramento, della leadership, della cultura e della volontà di combattere». Tutti fattori che l’Ucraina ha dimostrato di poter vantare e che alla Russia fanno difetto. L’addestramento, la motivazione e la leadership - oltre al compatto supporto operativo dell’Occidente - spiegano la liberazione di Kiev, un mese fa, e quella di Kharkiv anch’essa libera da pochi giorni, e spiega anche perché l’esercito russo non sia ancora riuscito a impossessarsi di quello che è diventato lo scopo centrale dell’offensiva: la conquista dell’intera regione che fa capo alle province di Donetsk e Lugansk, in Donbass.
In Donbass, a contrastare l’avanzata russa, agiscono le truppe della Joint Forces Operation (JFO), alcuni dei soldati più preparati e meglio addestrati dell’esercito ucraino, che hanno acquisito esperienza negli ultimi otto anni di guerra.
L’errore di valutazione del presidente russo Putin non sono da addebitarsi solo a una malintesa sovrapposizione tra russofonia e consenso, ma anche alla sottovalutazione dei progressi raggiunti dall’esercito di Kiev che, dopo la guerra iniziata nel 2014 in Donbass, è stato completamente trasformato e revisionato, nella temuta attesa che quel conflitto rimasto confinato sulla linea di contatto si sarebbe prima o poi trasformato in un’operazione su larga scala.
Così, a partire dal 2016, quando l’ex presidente Petro Poroshenko ha emanato il Bollettino di difesa strategica, i vertici della difesa e l’esercito sono stati riformati con l’ausilio dell’Occidente. Gli uomini che oggi combattono in Donbass non sono gli stessi del 2014, hanno una visione strategica oltre alle armi. I russi, invece, continuano a mettere in atto lo stesso copione, lo dimostrano i dati sul campo di battaglia a partire dal 18 aprile, inizio della seconda fase dell’offensiva. Fallita l’operazione a Kiev, e allora già in difficoltà a Kharkiv, i russi hanno spostato l’obiettivo sul Donbass agendo come da copione: gli obiettivi che restano per giorni sotto attacco aereo e sotto il fuoco dell’artiglieria e i soldati che avanzano dichiarando la “liberazione” dei villaggi. Hanno fatto così con Kreminna, hanno fatto lo stesso con Popasnia.
Pesanti bombardamenti che radono al suolo obiettivi militari e aree residenziali lasciando le strade distrutte e punteggiate da profondi crateri, strade in cui avanzano poi da carri armati, cannoni semoventi e i mezzi per il trasporto di personale che attraversano medi o piccoli centri abitati della regione mineraria del Donbass, diventati però più rovine che città.
Conquistare dopo aver distrutto significa entrare in una terra resa inabitabile e raccogliere progressi che si possono quantificare solo come estensione territoriale. Ma resta da chiedersi a che scopo, e con quale prospettiva, se parliamo di zone in cui la maggior parte degli edifici civili e delle infrastrutture sono danneggiati se non distrutti, paesi svuotati della quasi totalità dei cittadini, che restano abitati solo da chi è troppo povero per andare via, i malati impossibili da evacuare e dagli anziani, abituati alla vita e all’idea della morte, alla guerra in casa da otto anni e, semplicemente, troppo stanchi per scappare. In Donbass, negli ultimi otto anni, sono morte 14 mila persone, tra cui 3 mila civili. Un milione e mezzo di persone avevano già abbandonato l’area negli anni scorsi poi un mese fa, quando è iniziata la seconda fase dell’offensiva, le autorità del Donbass, consapevoli e memori della strategia russa, hanno invitato gli abitanti rimasti a lasciare la regione. La maggior parte ha raccolto l’appello, per i pochissimi altri restano gli scantinati degli ospedali e delle scuole, in attesa di veder evolvere quella che ormai è diventata la battaglia che determinerà il destino dell’intera guerra. La battaglia che riporta la guerra al punto di partenza, dove era cominciata otto anni fa.
È questo l’orizzonte all’inizio del terzo mese del conflitto in Ucraina.
Le truppe russe che raccolgono qualche modesta conquista in città desolate del Donbass, principalmente a Lugansk, e subiscono perdite significative, come a Kharkiv, teatro della ritirata dei giorni scorsi, le linee di rifornimento delle truppe di Kiev in Donbass che rimangono aperte e le armi occidentali che sono già arrivate e continuano ad arrivare in attesa che si consumi la battaglia per la strategica Izyum.
In mezzo centinaia di migliaia di sfollati e città diventate terra desolata.
Il presidente Zelenskyy, anche rafforzato dalle conquiste sul campo di battaglia, continua a ribadire che la guerra finirà quando tutti i territori occupati torneranno nei confini ucraini.
La settimana scorsa, Scott Berrier, direttore dei servizi di intelligence militari statunitensi, in un’audizione alla commissione Difesa del Senato ha detto: «al momento in Ucraina non stanno vincendo né i russi né le forze di Kiev. La guerra vive un momento di stallo che potrebbe durare a lungo e non ci sono segnali di una svolta a breve». Stessa posizione della direttrice dell’intelligence statunitense Avril Haines secondo cui è sempre più improbabile che la Russia sia in grado di catturare l’intera regione di Donetsk e Lugansk e stabilire una zona cuscinetto intorno a loro nelle prossime settimane: «Sia la Russia che l’Ucraina credono di poter continuare a fare progressi militarmente, non vediamo un percorso negoziale praticabile, almeno a breve termine».
La battaglia per il Donbass darà dunque la forma alla nuova fase del conflitto. Per capire quale, forse, sarà necessario aspettare qualche settimana. Tempo in cui le zone attraversate dal conflitto si stanno svuotando delle comunità che le abitavano, tempo in cui l’economia ucraina inizia già a soffrire gli effetti di una guerra lunga e logorante.
Questo è lo scenario che dovrebbe allarmare di più gli attori in guerra e gli alleati, non tanto le conseguenze determinate da chi sarà a vincere questa guerra, ma l’eventualità che diventi una guerra senza vincitori e molto lunga.