Hikikomori, a Voghera si parla del male oscuro dei giovani: almeno centomila vivono nell’isolamento
Ufficialmente non è ancora una patologia ma, semmai, un fenomeno sociale. Eppure ne soffrono, stime alla mano, circa 100 mila italiani, senza contare i milioni di ragazzi sparsi per tutto il globo, a partire dal Giappone dove è esploso ormai da un paio di decenni. Si chiama Hikikomori, ed è una forma di isolamento sociale volontario che sperimentano soprattutto i più giovani ma che, di anno in anno, si cronicizza, e arriva a interessare fasce d'età sempre più alte. Di come riconoscerla e come trattarla si parla domani alle 11 al teatro San Rocco di Voghera, dove a rispondere alle domande del pubblico ci sarà lo psicologo Marco Crepaldi, fondatore dell’associazione “Hikikomori Italia”. Partiamo dall'inizio.
Da cosa nasce l'Hikikomori?
«Di solito da una repulsione nei confronti della società, da una difficoltà nel coltivare delle relazioni, dalla paura di essere giudicati dagli altri. Ci si sente inadeguati, si vivono le interazioni con ansia, e si trova una dimensione più confortevole nell'isolamento. Ci si sente meglio allontanandosi dal confronto, ma il problema è che il disagio così si cronicizza e si autoalimenta: più si sta lontani dalla società, e più si perdono le capacità per rientrarvi. Si perdono le tappe della vita, si rimane indietro rispetto ai coetanei, e si finisce per sentirsi ancora più inadeguati».
Quali sono i primi segnali di allarme?
«Di solito le richieste di aiuto (e ne arrivano tante, circa una cinquantina al mese da tutta la penisola) arrivano quando il ragazzo abbandona la scuola. Quello è un salto chiave, ed è quello che fa preoccupare seriamente i genitori. Ma prima ce ne sono altri: tagliare i ponti con gli amici, lasciare lo sport, trascorrere molto tempo online, invertire il giorno e la notte. A volte lo si fa con consapevolezza, a volte è sintomo di un problema serio che, a catena, può portarsene dietro altri».
Tipo?
«Depressione, autolesionismo, disturbi paranoidi, episodi dissociativi. Questo nel caso in cui si sfoci nella patologia. Ma possono anche semplicemente crescere e finire tra i Neet (dall'inglese Not in Education, Employment or Training) ovvero tra le persone inattive, che non studiano, non lavorano e non ricevono formazione».
Qual è la fascia d'età più colpita?
«Mediamente si inizia tra i 13 e i 17 anni, ma i soggetti crescono, e se non sono seguiti diventano ventenni e trentenni isolati dal mondo. Per l'80% dei casi sono maschi, forse perché sono meno portati a chiedere aiuto e ad aprirsi».
Se ne può uscire?
«Sì, ma è un lavoro di gruppo. Lo psicologo può affrontare il cinismo esistenziale, la sfiducia che questi ragazzi hanno nei confronti del mondo e che può tendere al nichilismo. Ma la scuola deve aiutarli a non rimanere indietro studiando dei percorsi formativi adatti (anche perchè spesso si tratta di ragazzi molto intelligenti) e i genitori devono essere formati su come approcciarsi correttamente. Per questo ho fondato “Hikikomori Italia”, per aiutare non solo chi soffre di questo disturbo».serena simula