La divina Beba Lončar: «Ero nei sogni proibiti dell’Italia degli anni ’60»
foto da Quotidiani locali
TRIESTE. Cosa sognavano gli italiani negli anni ’60, quando andavano al cinema? Di sicuro anche Beba Lončar, bionda bellezza belgradese (classe 1943), popolare in Italia fino agli anni ’70 tra film, fotoromanzi, caroselli, sceneggiati Rai, prima del suo rientro in Jugoslavia negli anni ’80. Il suo picco artistico è stato il ruolo della spumeggiante, finta svampita, irresistibile giovane moglie-trofeo di Gigi Ballista (che lei tradisce con Alberto Lionello nell’episodio delle bretelle) nel capolavoro di Pietro Germi “Signore e signori”, Palma d’oro a Cannes nel 1966. Il suo picco di popolarità è stato nel 1974, nella parte della fidanzata del protagonista (Giancarlo Zanetti) nello sceneggiato Rai “Ho incontrato un’ombra” di Daniele D’Anza, seguito da 19 milioni di spettatori. Nel complesso, una quarantina di partecipazioni mai banali, alcune memorabili, in film d’autore (Lizzani, Monicelli, Samperi), commedie, erotici, polizieschi, spionistici, western.
L’immagine di Beba Lončar è tornata in auge in questi giorni a Trieste nella mostra “Dive, Divne, Divine” curata da Cizerouno al Cavò di via San Rocco 1 nell’ambito del Trieste Film Festival, aperta tutto febbraio (martedì-sabato, 17-19.30). Si tratta di un colorato omaggio alle “jugo-stelle”, quelle starlette originarie della ex-Jugoslavia che ebbero fortuna nell’Italia del Boom. Nel gruppo di solo bellissime, oltre a nomi semidimenticati (Maria Baxa, Olga Bisera, Špela Rozin), le tre più famose erano la zagrabese Sylva Koscina, la rovignese Femi Benussi e appunto Beba Lončar, che abbiamo sentito al telefono. Ci ha risposto da Belgrado, dove vive da tempo, gentilissima e vivace, molto felice di rievocare la sua carriera italiana.
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Come sta signora Lončar? Lo sa che in Italia in tanti si ricordano ancora di lei?
«Per essere un’ottantenne sto bene, grazie. Da voi ho lavorato per 22 anni ed è stata la parte più bella della mia vita. Ho avuto la fortuna di arrivare giovane in un’Italia giovane, dove c’era una gran voglia di lavorare, di creare, di crescere, specialmente negli anni ’60. Erano tempi d’oro, c’era lavoro per tutti. Cinema e Italia, ho solo ricordi bellissimi. Anche adesso a casa ho la tv accesa su Rai Uno, perché non voglio dimenticare l’italiano. E mi saluti Trieste, la adoro, ci sono passata un milione di volte, andavo alla Marinella a Barcola, cucina fantastica».
Come iniziò la sua carriera internazionale?
«A vent’anni avevo già un certo nome in Jugoslavia dopo una decina di film. In Istria, a Rovigno, arrivò una coproduzione internazionale, una delle molte che allora facevano film d’avventura, di cappa e spada, sfruttando gli scenari naturali di queste parti. Si intitolava ‘Le lunghe navi’ (di Jack Cardiff, 1964 con Richard Widmark e Rosanna Schiaffino, ndr), una storia di antichi vichinghi. Avevano anche costruito un vero villaggio vichingo sul Canale di Leme, che ricorda un fiordo. La produzione venne a Belgrado per cercare tecnici, ma cercavano anche un’attrice bionda che sembrasse una principessa nordica e presero me. Il film incassò bene e così iniziai a lavorare nelle coproduzioni».
E l’Italia?
«Ero sotto contratto con un’agenzia che mi portò a Roma per dei colloqui nei suoi uffici. Il primo incontro, il primo giorno, la prima ora, fu col regista Mauro Bolognini, che mi volle subito per il film ‘La donna è una cosa meravigliosa’. Ricorda i film a episodi? Se ne facevano tanti quella volta. Era uno di quelli e io recitavo nel secondo con Sandra Milo. Poi ho lavorato con Carlo Lizzani, nella commedia ‘La Celestina’, e con Mario Monicelli in due film famosi. In ‘Brancaleone alle crociate’ era la finta lebbrosa che poi si denuda davanti a Vittorio Gassman, e in ‘Casanova ‘70’ avevo una scena d’amore con Mastroianni. Marcello era una vera star, abbiamo avuto una fantastica amicizia per tutto il tempo che ha vissuto a Roma, poi si è trasferito a Parigi da Catherine Denevue. Insomma, facevo anche piccole parti, ma era un bel giro di buon cinema».
Ci racconti di “Signore e signori”.
«Germi mi ha soddisfatto di più come attrice. Mi ha voluta per una vera parte brillante, diversa da quelle che mi proponevano più basate sull’aspetto fisico. Abbiamo girato a Treviso. Io parlavo ancora poco l’italiano, ma Germi era affettuoso e divertente, storpiava apposta il mio nome, mi chiamava Bube. Avevo un grammofono e io, pazza per la lirica, appena potevo ascoltavo la ‘Cavalleria rusticana’. Nel piccolo albergo dove eravamo si sentiva tutto. ‘Bube, lasciami dormire!’, urlava Germi da una stanza all’altra».
E l’attrice con cui ha più legato nel cinema italiano?
«Carla Gravina. Abbiamo lavorato insieme in ‘Cuore di mamma’ di Salvatore Samperi, scritto da Dacia Maraini, una storia provocatoria, tutta una cosa intellettuale. La Gravina era simpaticissima. Prima di una scena particolare, mi ha detto: ‘Tu sai che sono friulana. Prima ci beviamo insieme questo fiasco di vino’».
Ha recitato anche con Zeudi Araya nel famoso “La ragazza dalla pelle di luna”.
«Sì, abbiamo girato due mesi alle Seychelles, ma quelli erano film che mi hanno allontanato dal cinema. È cominciato un filone in cui non contavano le storie o la recitazione, ma solo le scene erotiche, e un po’ alla volta ho smesso».