«Una democrazia matura deve porre al centro il rapporto con la scienza»
foto da Quotidiani locali
TRIESTE. Da un lato la fiducia incondizionata negli scienziati e nel potere salvifico della conoscenza, dall’altra lo spettro del complottismo, la negazione della scienza e il rifugio nell’irrazionalità. Sono le due facce di una stessa medaglia, due reazioni opposte ma complementari a una realtà troppo complessa per essere compresa compiutamente. L’abbiamo visto con il Covid, ma lo stesso vale per ogni sfida globale, che si tratti dell’emergenza climatica, della crescita demografica, della crisi energetica o degli impieghi nella società delle biotecnologie o dell’intelligenza artificiale
Per fronteggiare queste sfide serve che le democrazie sappiano utilizzare la conoscenza nel migliore dei modi possibili: la scienza è il sapere più autorevole che abbiamo a disposizione, ma non è infallibile e non può sottrarsi alle garanzie di un sistema democratico. O il rischio è quello di una tecnocrazia, in cui un’élite di persone decide per tutti, basandosi soltanto sulla competenze tecnica e le conoscenze specialistiche. Ma, come ha dimostrato la pandemia, se guardiamo al benessere dell’umanità non è possibile separare la dimensione scientifico-tecnologica da quella sociale, economica e politica.
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È il presupposto da cui muove “Manifesto per un’educazione civica alla scienza” (Codice edizioni, 2023, pagg. 208, euro 18), saggio scritto a quattro mani da Nico Pitrelli, direttore del master in Comunicazione della scienza della Sissa, e Mariachiara Tallacchini, docente di Filosofia del diritto dell'Università cattolica di Piacenza, che esce domani e sarà presentato giovedì alle 18 all’Antico Caffè e Libreria San Marco, con la moderazione di Francesco De Filippo, direttore della sede Ansa Fvg.
Un manifesto, spiega Pitrelli in questa intervista, basato su «un nuovo approccio al rapporto fra il sapere scientifico e le regole per la convivenza».
Cosa s’intende per educazione civica alla scienza?
«La democrazia oggi è sempre più un problema di conoscenza. Se nella visione classica l’educazione civica ha al centro la conoscenza della Costituzione, oggi una piena cittadinanza non può eludere il tema della conoscenza. Una democrazia non può dirsi matura se non sa rapportarsi alla conoscenza. E la conoscenza a sua volta va democratizzata: deve tenere conto di ruoli, diritti e responsabilità dei cittadini, di chi fa ricerca e di chi prende decisioni».
Qual è il ruolo della scienza in una democrazia?
«È un ruolo indispensabile, perché si tratta del migliore strumento che abbiamo a disposizione per affrontare i grandi problemi contemporanei. Ma non è l'unico strumento, né uno strumento infallibile: i decisori politici non possono fare a meno del sapere specialistico, ma la scienza a disposizione è spesso per sua natura incompleta e multidisciplinare».
Può farci qualche esempio?
«Prendiamo il Covid, ma nel libro facciamo anche l’esempio del terremoto de L’Aquila. Sono situazioni in cui la politica e i cittadini si appellano alla scienza perché trovi rapidamente delle soluzioni, ma la conoscenza prodotta nei laboratori ha dei margini di incertezza e ambiguità. È la migliore a disposizione, ma non per questo è necessariamente risolutiva. E, ammesso che lo sia, chi la possiede? I virologi, i pneumologi, gli esperti di politica sanitaria, i sociologi? O forse serve una combinazione di diversi saperi per trovare una risposta?».
Come fa il potere a decidere su chi fare affidamento?
«In primo luogo servono delle procedure per scegliere gli esperti su cui riporre fiducia, anche per evitare lo spettro dei conflitti d’interesse, e bisogna rapportarsi alla scienza nella consapevolezza che è fatta anche di incertezze. In seconda battuta vanno creati degli organismi istituzionali che siano in grado di trasformare i consigli degli scienziati in decisioni politiche. E il terzo scoglio, il più complicato, riguarda il ruolo dei cittadini, che in un sistema democratico non possono essere completamente esclusi dalle decisioni che li riguardano. Le conoscenze degli esperti vanno integrate con altre forme di conoscenza, serve un contesto il più ampio possibile».
Come possono i cittadini contribuire alla conoscenza?
«Prendiamo la questione ambientale. Qualche tempo fa a Firenze i cittadini di alcuni quartieri hanno contestato all’Arpa le rilevazioni sull’inquinamento atmosferico, perché ritenevano i dati troppo ottimistici. L’hanno fatto collocando delle centraline di rilevazione in posti differenti rispetto a dove le aveva piazzate l’Arpa; così hanno dimostrato che l’inquinamento era più grave di quanto dichiarato dall’Agenzia. L’educazione civica alla scienza ha a che fare proprio con questo atteggiamento: la loro contestazione non si è basata su mere impressioni, ma sull’uso rigoroso di strumenti scientifici».