Il Tar accoglie il ricorso del centro islamico a Monfalcone, sì alle preghiere all’esterno: cosa succede adesso
Per il Tar il cortile dell’ex Hardi non va considerato cantiere. La festa di fine Ramadan si potrà celebrare lì. Il Comune annuncia l’appello
MONFALCONE La comunità islamica di Monfalcone è ora libera di poter utilizzare, anche per la preghiera, il piazzale esterno privato che costituisce il comprensorio di un ex discount, acquisito nel 2017. L’ordinanza del Comune che ne inibiva l’utilizzo è stata annullata dal Tribunale amministrativo regionale. L’area non può ritenersi un cantiere, come invece l’ente aveva valutato, e in estrema sintesi non si può impedirne l’accesso.
Dunque la festa di fine Ramadan, che i musulmani di tutto il mondo attendono il 10 aprile, si potrà celebrare lì, nel piazzale dell’ex Hardi, civico 103 di via Primo maggio, periferia ovest della città: una proprietà dell’associazione Baitus Salat, uno dei due sodalizi islamici in città.
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La sentenza
Dopo la Camera di Consiglio in calendario mercoledì scorso, il Tar (Sezione prima), con sentenza in forma semplificata, ha accolto il ricorso del centro culturale islamico e ha annullato il provvedimento emesso il 7 dicembre dal Comune, che per ragioni di sicurezza disponeva il «divieto di utilizzo» e di «accesso ai non addetti ai lavori» dell’area, ritenuta un «cantiere». I giudici hanno reputato le motivazioni di quell’atto, teso a inibire la fruizione, «insussistenti». E ordinato che la loro risoluzione «sia eseguita dall’autorità amministrativa», compensando le spese di lite.
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Il riepilogo
Un brevissimo riepilogo. A causa dell’autosospensione delle salāt, le preghiere, nelle strutture del centro urbano (già a novembre raggiunte da altre due ordinanze dirigenziali), alcuni cittadini con fede in Allah si erano rivolti a quel piazzale, nel rione di Aris. Ne erano scaturiti controlli, su segnalazione, e l’ulteriore atto dell’amministrazione. Così il Baitus, assistito dal legale di fiducia Vincenzo Latorraca, aveva impugnato il provvedimento assunto dal dirigente dell’area tecnica 6, come riportato dai giudici, invocando in prima battuta la sospensiva sull’atto. Parte resistente il Comune, con l’avvocata Teresa Billiani. E si è quindi giunti a mercoledì, giorno dell’udienza per la trattazione della misura cautelare, quando il Tar ha informato i legali dell’intenzione di definire il giudizio nel merito, riservandosi la decisione dopo breve discussione. Infine, il deposito della sentenza.
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Il commento del Comune
Nella stessa giornata, nessuna conferenza stampa in municipio, forse per concomitanti impegni. Il commento dell’amministrazione Cisint è pervenuto con una stringata nota stampa: «Di fronte alla decisione del Tar, che riguarda il profilo urbanistico della pertinenza esterna, un’area commerciale e che per il Tar non è cantiere, il Comune, considerando valide le proprie motivazioni, ritiene che ci siano le ragioni per presentare appello al provvedimento».
Mentre «i due centri islamici» in centro, alla luce dell’ultima risoluzione del Consiglio di Stato «non possono essere adibiti a moschee». Insomma, si tornerà a Palazzo Spada e sarà l’ultima parola sul punto.
La fine del Ramadan
Ma intanto, a meno di ulteriori colpi di coda, la comunità potrà disputare la fine del Ramadan all’ex Hardi: lo ha già fatto negli ultimi 7 anni. Di più: il Baitus potrà recitare anche la Jumu‛a, preghiera canonica del venerdì, il giorno sacro per gli islamici, come rifletteva il presidente Rejaul Haq. La comunità, in silenzio stampa dopo mesi di braccio di ferro, per bocca del legale Latorraca ha invece definito la sentenza del Tar una «sconfessione integrale della linea tenuta dal Comune».
La sentenza di primo grado
La sentenza di primo grado, quindi. I giudici della Sezione prima (presidente Carlo Modica de Mohac, consigliere Manuela Sinigoi, estensore Luca Emanuele Ricci) hanno ritenuto «fondati» i motivi di ricorso, annullando il provvedimento del Comune e restituendo il piazzale alla fruizione degli associati del Baitus: in un passaggio del dispositivo articolato su 7 pagine ribadiscono anche che l’attiguo immobile resta invece precluso, così come prima dell’ordinanza del 7 dicembre e come riconosciuto pure dalla parte islamica (mancano infatti collaudo statico e agibilità).
Non può considerarsi «cantiere», per i magistrati, «un’area non più interessata da lavori». «Analogamente – hanno scritto – il riscontro della presenza di alcuni materiali edili nell’area non è sufficiente a tramutarla in un cantiere, né tantomeno a inibirne l’uso generalizzato, potendo al più giustificare un ordine di rimozione di tali materiali, ove se ne riscontri l’effettiva pericolosità». La mancanza delle condizioni di agibilità del vicino edificio, peraltro, «non può giustificare l’emanazione di un provvedimento che precluda anche l’utilizzo di un’area esterna pertinenziale», salvo non sussistano esigenze di sicurezza, non rinvenute nel provvedimento.
Il Tar ha poi condiviso «le prospettazioni dell’associazione ricorrente, ritenendo insussistenti i presupposti per inibire l’utilizzo dell’immobile nella sua interezza, anche alla luce della sua destinazione – nota al Comune – all’esercizio di diritti di rango primario quale la libertà di riunione, di associazione e di culto». «Tali diritti – ancora i giudici –, pur non godendo di incondizionata prevalenza sui contrapposti interessi pubblici, avrebbero giustificato un più attento bilanciamento delle rispettive posizioni». Caposaldo un precedente pronunciamento, qui, proprio del Consiglio di Stato. —
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