Al Pd resta solo la soluzione del campo aperto
foto da Quotidiani locali
Guardando al sinistracentro di questi giorni più che di un campo largo si dovrebbe parlare di un “campo profondo”.
Nel senso del de profundis (o, come scherzava in maniera un po’ macabra qualcuno, di un campo santo). Tramontata a Bari l’ipotetica candidatura di convergenza di Nicola Colaianni, mentre viene messo sotto indagine anche un assessore della giunta Decaro (Alessandro D’Adamo), il caos in quella regione che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello dell’«alleanza organica» fra Pd e M5S va tracimando sempre più.
Così Elly Schlein ha respinto la richiesta di accettare il candidato dei pentastellati Michele Laforgia e, per converso, un irridente Giuseppe Conte ha dichiarato: «il Pd si rilassi, se li superiamo alle elezioni europee non chiederò la leadership».
Ovvero, tradotto in altre parole: Schlein non si illuda, non è con il numero dei voti conquistati che si deciderà il candidato premier del (fu) campo largo – un chiaro segnale, giustappunto, della sua aspirazione a quel ruolo indipendentemente dai consensi che ciascun partito riporterà a giugno.
La «questione morale» costituisce un tema a cui l’elettorato dem risulta particolarmente sensibile, identificando una categoria elaborata nell’ambito della cultura politica del berlinguerismo anche per trovare una narrazione sostitutiva dell’ideologia consunta e non più utilizzabile del «comunismo all’italiana».
Non per caso – suscitando una polemica interna con l’area cattolica –, Schlein ha presentato proprio nelle scorse ore la nuova campagna di tesseramento che prevede l’immagine sulla tessera del volto dell’ex segretario Enrico Berlinguer colpito da un ictus fatale durante il suo comizio padovano del 7 giugno 1984.
La “tempesta perfetta” di natura giudiziaria abbattutasi sul Pd ha spalancato un’ampia finestra di opportunità per l’«alleato» (molto) riottoso Conte per attaccare a ogni piè sospinto il “partner”. Almeno fino all’indomani delle europee un’alleanza effettiva (figurarsi «organica»...) con il M5S appare pertanto come una mission impossible per il Pd, che dovrebbe piuttosto optare per una competizione decisa e in campo aperto (al posto di quello “largo” divenuto ristretto).
Fermo restando, naturalmente, che i dem dovrebbero bonificarsi al proprio interno da qualsiasi mela marcia, Conte ha individuato nelle inchieste proprio l’issue su cui impostare la sua campagna elettorale, dal momento che tutte le altre (dal superbonus al reddito di cittadinanza) si rivelano spuntate. Di qui, per l’appunto, il ritorno all’immagine intransigente dell’«Avvocato del popolo» à la Robespierre.
Si tratta, palesemente, di tatticismo, oltre che di quel populismo anti-casta che si ritrova iscritto nel codice genetico del Movimento insieme al giustizialismo. Per i prossimi mesi non sarà dunque possibile per il Pd costruire un rapporto solido col M5S precisamente perché il suo leader ha scommesso su una concorrenza senza tregua.
Ma forse, come pare si stia accorgendo la stessa Schlein, quella con Conte è destinata a risultare una “collaborazione” strutturalmente competitiva, più che una vera coalizione, con tutti i relativi problemi del caso visto l’investimento a senso unico fatto sul M5S. Un aspetto che rende indispensabile per il Pd ricostruire adeguatamente le relazioni con i vari (anch’essi, in altro modo, turbolenti) partiti centristi e riformisti.