Muggia, la crisi Tirso alla svolta finale: cedere in Cina e salvare il sito
Un’esposizione con i fornitori di elettricità e stipendi pagati a singhiozzo da mesi. La proprietà tratta la vendita di uno stabilimento all’estero
MUGGIA. Un’esposizione con i fornitori di energia elettrica da oltre 3 milioni e stipendi che dall’inizio dell’anno sono pagati in due tranche per la scarsa liquidità. La crisi Tirso si trascina dal post pandemia ed è entrata nella sua fase più delicata. La proprietà sta facendo il possibile per salvare lo stabilimento, ma le soluzioni sono dolorose: cedere un impianto in Cina per reperire nuove risorse o attivare un’operazione di leasing sui muri della fabbrica di Muggia.
Lunbedì mattina si è tenuto un tavolo di confronto tra il gruppo Fil Man Made (testa a Treviso e sedi in varie parti del mondo) e i sindacati. In ballo ci sono 180 dipendenti, in maggioranza donne: filatrici e operaie in torcitura, con un’età media superiore ai cinquantenni, dunque di difficile ricollocazione su un mercato locale dove non ci sono altre attività tessili come la Tirso, che a Muggia produce fibre performanti e resistenti a prodotti chimici, fuoco, elettricità e lame, impiegate dalle tende da sole alle uniformi dei pompieri.
I sindacati confederali e gli autonomi della Confsal (maggioritari in azienda) speravano che l’incontro a Palazzo Ralli portasse a una chiarificazione sulle strategie dell’azienda, ma non si registrano passi avanti. Fil Man Made sta tentando da anni di cedere un piccolo impianto nella zona di Maniago, senza fortuna, ma la proprietà spera che qualcosa si stia sbloccando. Più di tutto conta però la cessione della fabbrica di Suzhou nella provincia di Jiangsu: sarebbe in corso una trattativa da una decina di milioni. E poi c’è l’extrema ratio di attivare un lease back sul capannone triestino: cedere a una realtà del settore, incassare il valore dell’immobile e rimanere a produrre in affitto, fino al possibile riacquisto degli spazi.
La situazione è difficile, ma i sindacati scelgono la via del silenzio. La Cgil è su posizioni più combattive, ma Confsal, Cisl e Uil preferiscono dare tempo all’azienda. Tutte le rappresentanze dei lavoratori hanno deciso allora di escludere per il momento ogni forma di mobilitazione e attendono che nei prossimi mesi si arrivi al bivio: una ristrutturazione che dia un po’ di respiro o imbocco della crisi conclamata. L’azienda intanto combatte. Le rate delle bollette vengono onorate, ma sul terreno sono già rimaste una sessantina di addette interinali, cui nel 2023 è stato interrotto il contratto dopo anni trascorsi in azienda.
Il gruppo Fil Man Made ha sedi in Cina, Turchia e Portogallo, che per la società hanno livelli di sostenibilità economica maggiore rispetto allo storico impianto di Muggia, che ha retto bene i due anni della pandemia e a cui non mancherebbero ordini. Nel corso dei mesi i sindacati hanno però riferito di problemi di natura finanziaria, insoluti verso diversi fornitori e difficoltà a pagare mensilmente gli stipendi.
Le difficoltà sono arrivate con il caro energia. La società ha già ricevuto decreti ingiuntivi dai fornitori e ha ottenuto di rateizzare più di 3 milioni di debiti soltanto di bollette elettriche. L’azienda è d’altronde riuscita a pagare centinaia di migliaia di euro per un singolo weekend di produzione, al picco dei prezzi della corrente nel 2022, quando le tariffe erano quadruplicate, al punto che Tirso spendeva più di un milione e mezzo al mese di elettricità.
All’anno passato risale il contenzioso con Edison, che a settembre aveva minacciato di interrompere le forniture all’impresa tessile, la cui difficoltà va ad affiancare i guai vissuti dai lavoratori Wärtsilä, gli esuberi della Flex, la chiusura dell’ex Principe e la contrazione degli occupati nell’area siderurgica di Servola. Tutte spie della crisi del sistema manifatturiero triestino, che in questi decenni ha ceduto il passo a logistica e turismo