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Massimo Bernardini, dopo l’addio a TvTalk: “Mi mancherà il gruppo. Difficolta? Tante. Un conduttore Rai si è lamentato senza ragione per gli ospiti Mediaset. Telemeloni? Gli altri facevano lo stesso con più stile”

La televisione e anche la musica di oggi raccontate dall'ideatore dello storico programma di RaiTre del quale, sabato 25 maggio, ha condotto la sua ultima puntata

L'articolo Massimo Bernardini, dopo l’addio a TvTalk: “Mi mancherà il gruppo. Difficolta? Tante. Un conduttore Rai si è lamentato senza ragione per gli ospiti Mediaset. Telemeloni? Gli altri facevano lo stesso con più stile” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Quando suono il campanello di casa Bernardini sono le 15:30 del 22 maggio, tre giorni prima dell’ultima puntata di TvTalk condotta da Massimo. Ci sono dischi e libri dappertutto. Dischi e libri in una stanza ‘dedicata’. Dischi e libri in soggiorno. Dischi e libri nei disimpegni. E strumenti musicali chiusi in un armadio: contrabbasso, pianoforte, basso elettrico, chitarra acustica. Perché Massimo Bernardini è musicista e arrangiatore (e “polistrumentista amatore”). Prima di fare tv (come gli suggerì Giorgio Gaber), ha fatto il critico musicale ed è stato responsabile della redazione spettacoli dell’Avvenire. Ci sediamo una di fronte all’altro con la luce del sole che entra chiara da una grande finestra, primo sprazzo di sole a Milano dopo diversi giorni.
Bernardini che lascia TvTalk è una di quelle cose che non ti aspetti. Vale almeno una spiegazione.
La mia curiosità si è semplicemente usurata. Quando abbiamo cominciato TvTalk erano appena arrivati i reality. Era partito il Grande Fratello, la televisione stava vivendo un mutamento. TvTalk è nato perché la televisione era interessante e io ne ero affascinato. Da molti anni invece la proposta non è attraente. Probabilmente non ho ragione io solo che, come dicevo, la mia curiosità si è usurata.
Qualcosa da salvare nella tv di oggi però c’è.
Sì ma questo è il mio mood e ce l’ho da almeno cinque anni. Se ho continuato è per il gruppo di lavoro, talmente formidabile che pur di continuare a lavorare con loro ho superato la noia.
Le mancheranno?
Sì, loro sì. Mi mancherà quello che abbiamo costruito insieme. Un programma come un giornale, sono prodotti collettivi. Si tratta di famiglie, di comunità. So bene che spesso in tv il clima non è così “friendly”, così rispettoso dell’altro, anzi è creato da gente che vuole farsi la festa a vicenda. Invece da noi il clima è magico.
È in pace con la sua decisione, nonostante la nostalgia per le persone?
Sì. Cito un passo del Vangelo di Luca, “siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Quello che è fatto è fatto, la vita non si esaurisce con il lavoro o con la soddisfazione delle ambizioni, per quanto nobili possano essere. E poi sa una cosa? Io e mia moglie ci siamo messi insieme in prima liceo e per molti anni lei mi ha aspettato. Prima gli orari della redazione, poi quelli della televisione. Ora non dovrà aspettarmi più.
Il volto di TvTalk è Massimo Bernardini. Chi verrà dopo di lei non avrà un compito facile.
Non è vero che il volto di TvTalk sono io: è un’abitudine, come le vecchie ciabatte (sorride, ndr). Questo programma è un capitale per la Rai, con una media sopra l’8% quando la rete ora, se ha successo, arriva al 4%. È una realtà molto importante per RaiTre e credo che la dirigenza ne sia consapevole. Da Tv2000, quando lo guardavano in tre, alla messa in onda al pomeriggio sulla terza rete, grazie a una intuzione di Antonio Marano, il pubblico è arrivato a oltre un milione. Il conduttore se ne va, ok, ma il gruppo rimane.
Ci saranno cambiamenti?
Posso solo sperare che il traghettamento avvenga nella maniera meno dolorosa possibile, che non costi in termini di persone, di fatica e anche di ascolti al programma. Spero che il capitale regga. La Rai spero starà attenta, almeno per il momento, a mantenere il più possibile la fisionomia del programma che poi certo sarà destinato a cambiare, com’è giusto. Ma tutto insieme no, ci vuole delicatezza, pazienza
Dopo di lei al timone arriva Mia Ceran.
Ho fatto un identikit alla Rai e alla fine hanno scelto lei. Sono convinto che sia la scelta giusta.
Perché?
Intanto, ha l’età dei mio secondo figlio. È una donna e quindi è un’altra storia. È molto più contemporanea di me: fa podcast, cura i social, ha vissuto a Miami, parla almeno tre lingue, ha fatto il suo primo stage alla Cnn e io il praticantato all’Avvenire, c’è una bella differenza… E ha anche esperienza in tv. Sia chiaro, io devo molto all’Avvenire, dove ho cominciato e dove poi sono stato responsabile degli spettacoli. Anzi ancora oggi tra i media cattolici è uno dei più moderni.
Si parla di una messa in onda di TvTalk in diretta.
L’unico problema sarebbe quello di radunare gli ospiti il sabato. Noi registriamo il venerdì quando è meno complicato creare un bel parterre. Invece, dal punto di vista della produzione non ci sarebbe alcun problema, anche perché in sostanza facciamo una diretta differita, con pochissimi tagli.
A proposito di ospiti, avete ospitato tutti i grandi volti della tv in questi anni, anche di altre reti.
Sì e non è stato facile. Cambia dirigenza e chi arriva puntualmente dice ‘ecco, ospitano la concorrenza’, ogni volta tocca spiegare la necessità del programma di avere ospiti da ogni canale, per essere terzi. Non sa quante rogne abbiamo avuto…
Me ne racconta una?
C’è chi, dentro la Rai, si è lamentato senza ragione. Due anni fa, per esempio, venne da noi Barbara D’Urso e parlammo dei suoi ascolti a Pomeriggio5 come facciamo sempre a TvTalk. Il competitor Rai si lamentò molto che fatto che non avessimo sottolineato la sua vittoria all’auditel, ‘dovete dire che vinciamo noi, che siamo bravi noi’. Ma noi dobbiamo essere terzi e se invito un ospite non è che lo piglio a schiaffi. Certo non diamo dati falsi, ma trattiamo bene l’ospite. Secondo il competitor avremmo dovuto parlare della vittoria sugli ascolti e delle ragioni di questa vittoria. Ma il compito di TvTalk è provare ad analizzare la televisione non fare da bandiera della Rai.
Stiamo parlando di Alberto Matano.
Sì. Ho grande stima di lui come professionista. È riuscito a mantenere uno stile giornalistico nell’intrattenimento. Ma quell’episodio non mi è piaciuto.
Sa che vi rimproverano spesso un eccesso di buonismo.
Paolo Taggi, bravissimo autore scomparso troppo presto, ebbe la prima idea di TvTalk: c’era un modello americano che si chiamava Talk Soup con un comico che riguardava spezzoni di programmi tv facendo ironia, sarcasmo. Portò a casa anche un Emmy ma chiuse perché, con quel taglio, non gli davano più i filmati tratti dalle trasmissioni. Quello che ho cercato di fare io è stato portare a TvTalk i protagonisti. Inutile parlare senza di loro e, se li porti, non puoi trattarli male. Dobbiamo dire la verità, non dico che fai il 40% di share se fai il 2%. Trovare la via è stato complicato. In Rai, poi, si lamenteranno sempre, è successo con tutti i direttori di rete, con tutti i dirigenti e con tanti conduttori. Poi ci sono professionisti splendidi che se ne strafregano, dentro e fuori dalla Rai.
Qualche nome di questi saggi?
Sono tanti. Piero Angela il primo. Ma direi anche Carlo Conti e Milly Carlucci. E la stessa Barbara D’Urso devo dire. Sono tantissimi anche a Mediaset. Per esempio, il tanto criticato Mario Giordano è una persona che si fa mettere in discussione anche rispetto al suo ‘estremismo’, alla sua prossemica esagerata, un po’ da super Funari. Uno un po’ più permaloso invece è Porro. Ma la permalosità è diffusa.
Mi diceva prima che TvTalk è nato quando sono nati i rality che continuano ad andare in onda. Hanno ancora senso?
Mi sembrano troppo usurati, come i talent. Un difetto della televisione di questi anni è di aver strizzato troppo questi format. Il Grande Fratello è sempre presente. I programmi vanno fatti riposare, una che lo dice spesso è Milly Carlucci. Anche se poi nei fatti le viene impedito con Ballando.
Perché le viene impedito?
Perché c’è bisogno di fare ascolti. E questa è colpa nostra, colpa di noi giornalisti. In Italia ci occupiamo degli ascolti televisivi come se fossero il giudizio di Dio sui programmi. Se lei guarda i siti internazionali, vede mai gli ascolti di un programma in prima pagina? Noi usiamo gli ascolti come strumento di giudizio anche politico. Qualcuno criticherebbe mai Trump perché non fa ascolti? Semmai per le sue idee, per cosa dice.
Ci sono però dei programmi che fanno bassi ascolti perché sono di bassa qualità.
Se continuiamo a misurare i programmi sugli ascolti dei primi due giorni, uccidiamo la possibilità della qualità. Gli ascolti, come dimostra la RaiTre di Guglielmi, crescono nel tempo se si dà ai programmi il tempo di crescere, di maturare. Mentre un’opinione pubblica che fucila tutto in funzione di una precisa lettura politica di destra, sinistra o centro fa solo danni. Io mi ricordo gli attacchi giornalistici a Santoro: se faceva un punto in meno di share, ‘ecco: il pubblico non ama più il suo comunista’, ora è alla rovescia. Penso a Pino insegno: ‘ecco il pubblico non ama il conduttore fascista’. Ragionare così è mortificante, non ha niente a che vedere col giornalismo.
Telemeloni. Secondo molti addetti ai lavori è una gestione disastrosa del servizio pubblico.
Secondo me il problema non è l’appartenza politica. È un tema che c’è sempre stato. Da quanti anni si parla di una nuova governance per la Rai? Ma alla fine non interessa a nessuno. Anzi il modello Renzi ha reso le cose più complicate e la catena fra Rai e politica si è ulteriormente accorciata. Non sono così convinto che l’attuale gestione sia così disastrosa. Certo hanno promosso persone fortemente identitarie ma prima lo hanno fatto anche gli altri, forse con più stile. Gli altri avevano un personale di qualità migliore? È vero in parte. A scegliere dei mediocri di sicura fedeltà, a turno, ci hanno pensato tutti.
Magari ora i mediocri sono in posizioni più di rilievo.
Ho l’impressione che ci sia più che altro un senso di fame di chi, dentro la Rai, non ha mai contato. Il problema è proprio la qualità media dei quadri, quella deve crescere. Il livello si è abbassato col controllo di Berlusconi sulla Rai. Abbiamo avuto una grande Rai fino alla sua discesa in politica. Lì si è rotto un equilibrio e sono entrati in Rai quadri non all’altezza. Un modello che poi ha ‘figliato’. Per esempio gli ascolti, da lì, hanno cominciato a ‘essere tutto’ anche nel servizio pubblico.
A proposito di duopolio Rai-Mediaset, l’arrivo del Nove, insieme alle già forti piattaforme, lo farà crollare?
Questo Paese è vecchio, non si fanno figli. E quindi a decidere veramente l’assetto televisivo è un vecchio pubblico. Le innovazioni, le nuove abitudini, vogliono anche un pubblico nuovo. Come fu per Mediaset che catturò un target che la Rai non sapeva esistesse. Poi il Nove sicuramente è destinato a crescere e Fazio ne è l’emblema.
Farà lo stesso Amadeus?
Un bel punto di domanda. È un’altra cosa. Quello di Amadeus per quel tipo di programma (I soliti Ignoti, ndr) è un pubblico più ‘liquido’. Su Fazio hai un pubblico di una certa qualità che si era abituato a trovare in Rai quel tipo di prodotto. Nel caso di Amadeus, hai un ottimo conduttore ma sul format non c’è una fidelizzazione così radicata. Però è da vedere, magari verificheremo che è cambiato tutto.
Amadeus verso il Nove e Carlo Conti verso Sanremo. Lei è stato nella giuria tecnica dell’edizione condotta da lui nel 2015. Sui social c’è già la convizione che farà peggio di Amadeus.
Intanto, è difficile affondare i dati d’ascolto di Sanremo. Stiamo a misurare quando invece del 60% di share uno fa il 58%: sarebbe un crollo, nella televisione di oggi? Quando si parla di questo, spesso non si ha il senso del ridicolo. Penso che Sanremo abbia uno zoccolo duro talmente grande e trasversale che chi lo affonda? E poi, se andiamo a vedere, è stato proprio Conti a fare alcuni degli exploit fondamentali dopo l’era Baudo.
Non fa una piega ma oltre alle critiche preventive sullo show sono arrivate anche quelle sulla parte musicale. C’è chi è convinto – tipo l’onnipresente Codacons – che Amadeus abbia pensato troppo a un pubblico di giovanissimi a sfavore della qualità dei brani. E c’è chi critica l’arrivo del rap. Da arrangiatore e critico musicale, che ne pensa?
Diciamo da ex dell’uno e dell’altro: mi sembra ingenuo. Sanremo registra da sempre quello che c’è. Io per esempio non amo rap e trap, non credo che in questi generi si raggiungano grandi vette compositive. Però qualcosa di buono c’è. Madame è una vera grande autrice di oggi ma non ce ne sono tanti di quel livello. Io ho vissuto da cronista la grande stagione dei cantautori, ma è ingenuo pensare che il futuro sia dei cantautori. Certo sono convinto che chi fa rap e trapdovrebbe ascoltarli, rendendosi conto che non c’è alcuna noia ma che ci sono grandi artisti da cui farsi magari contaminare. Uno che mi ha impressionato come contaminazioni è Salmo perché ha tutti gli stili. Quando fa una parte acustica, ‘c’è’. Sono stato invece molto deluso dal live dei Maneskin perché li ho trovati molto stereotipati. Al di là del cantante…
Cioè non suonano all’altezza del nome?
No, è questo il punto. Credevo fossero più bravi. Bravissimo è il cantante… Ho aspettato il loro primo disco come qualcosa di importante e non lo è stato.

Mentre sto per fare a Bernardini una domanda alla quale tengo molto arriva un temporale tropicale. I tre dischi che ogni persona che legge questa intervista dovrebbe ascoltare, questo gli chiedo. Non esita granché: “John Barleycorn Must Die dei Traffic, Blue di Joni Mitchell e tutti i quartetti di Beethoven suonati dal Quartetto Italiano“. Mi domanda se voglio una lista più lunga e io non gli confesso che vorrei fare un’altra intervista, daccapo, tutta sulla musica. Ci sarà un’altra occasione, magari dopo il viaggio che lui e la moglie faranno quest’estate a bordo di una Vespa 300 Hpe: “Ci piace andare in moto, sei molto libero. La macchina vuol dire coda la moto no, almeno non per noi che siamo italiani. Per dire, il motociclista tedesco sta in coda, noi prendiamo la moto apposta per sorpassare la coda. Sono quasi vent’anni che facciamo un lungo viaggio in Vespa ogni estate. Tutto improvvisato, quando siamo stufi prenotiamo con una app andiamo a domire. Una cosa negativa può essere la pioggia, non fai in tempo ad asciugare i vestiti. Una volta a Biarritz…“.

Mentre parla dei 200 km sotto l’acqua sulla costa francese, a Milano diluvia. Quando esco da casa Bernardini il cielo è nerissimo, mi affretto alla macchina per ascoltare Joni Mitchell. Ancora non so che venerdì 24 maggio, quando sarò anch’io in studio per l’ultima puntata di TvTalk con Bernardini, lui regalerà al pubblico un’altra canzone notissima ma mai troppo ascoltata. Forever Young di Bob Dylan. May your heart always be joyful/May your song always be sung/And may you stay forever young/May you stay forever young.

Viva TvTalk.

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