Parola di Dago: Vecchiaia
Scusatemi, ma a che età si diventa vecchi? Tra le nostre incertezze vi è anche questa: non sapere a che età apparteniamo. I confini tra giovinezza, maturità e vecchiaia sono diventati mobili e allungabili come un chewing-gum. Vediamo: una volta un calciatore veniva pensionato a trent’anni, una modella naftalinata a 20, Greta Garbo disoccupata a 35. Andy Warhol, erano gli anni Sessanta, confessava: «Quando hai i capelli grigi, ogni normale movimento che fai sembra “giovane e scattante”, così quando avevo ventitré-ventiquattro anni mi sono tinto i capelli di grigio». E oggi?
La terza età ha messo la quarta e trionfa la «sindrome di Cher» (Da qui all’Eternit), una diva che soffre ancora di acne giovanile, così provocante da essere in grado di trasformare una fascia Gibaud in un tanga. Questa alterazione d’età che uno spirito un po’ burino definirebbe «non cresce e non crepa» è ormai una linea di vita vissuta allegramente dalle Barbare D’Urso (62 anni), Milly Carlucci (64) e dalle Mare Venier (68). A Ibiza le temono perché sono talmente gasate che quando si tuffano in mare l’acqua diventa Schweppes e le aragoste si ossigenano, escono e se ne vanno in discoteca. L’unica scomodità delle tardone-star, se continuano a restare ventenni abusive all’anagrafe, è quella di rendere illegittimi i loro figli. E questi poverini, psicologicamente frustratissimi, frigneranno: «Alla mia età mia madre aveva vent’anni di meno!».
Allora ha ragione Madonna che sostiene di essersi sentita «stuprata» nel profilo che le ha dedicato il New York Times? In un lungo post su Instagram, la diva si scaglia contro il più autorevole quotidiano liberal del mondo, bollato come «uno dei padri fondatori del patriarcato», per l’articolo intitolato Madonna a 60 anni, proprio perché focalizzato sulla sua età «cosa che non sarebbe mai stata menzionata», osserva la Ciccone, «se fossi stato un uomo». Il Nyt racconta come era Madonna negli anni Ottanta, «la sua volontà di ferro» e il suo essere diventata «un modello di femminilità». Ai giorni d’oggi la caratterizza invece come l’incarnazione di «una sessantenne che reclama il suo spazio tra gli artisti di due generazioni più giovani». Insomma, una «star geriatrica».
Ognuno accetta la sua vecchiaia come viene, e ci sono i fortunati e i meno fortunati nel viverla. Basta convincersi che «l’età è solo un numero» e non aver paura di ricominciare da zero. Come fece a 80 anni Giuseppe Verdi componendo l’immortale Falstaff. Come ha fatto Iris Apfel, 97 anni, arredatrice alla Casa Bianca (per ben nove presidenti) e un presente da modella, testimonial e mito pop. Ma come lei ormai ce ne sono tante: dall’artista Yayoi Kusama a Yoko Ono, da Jane Fonda a Franca Valeri, da Natalia Aspesi a Ornella Vanoni.
Una generazione instancabile di over 80 e 90 (famose e no) che qualcuno chiama già Perennials e che stanno facendo invecchiare l’idea stessa di vecchiaia. Ma io ho un’idea antica: più si va avanti più bisogna sottrarsi agli altri, difendersi dall’insofferenza, dall’imbarazzo di chi non ti crede più del tutto «viva». Massì, è bello sapere che, di questi tempi spietati, almeno un valore sopravvive: un desiderio di vecchiaia, l’integrità senile, l’ebbrezza di sentirsi babbioni per sempre. In barba alle facce smaltate come una vasca da bagno, con abitini da influencer informate, atteggiamenti da gagarelle capricciose, che escono da un letto ed entrano in un altro. Il primo sintomo della vecchiaia è credersi giovani.