Quando CR7 mangiava gli hamburger avanzati di Mc Donald’s
C’era una volta un ragazzino di dodici anni che si aggirava sperduto attorno a un Mc Donald’s. Si frugava nelle tasche, ma di soldi non ne aveva. Cercava sguardi complici, anche un solo cenno, qualcuno che sentisse che la sua solitudine era così pesante da farlo camminare a passi frettolosi guardando il ciglio del marciapiede, in precario equilibrio su una vita che non era ancora la sua.
Quel bambino – insieme ad altri amichetti – prima dell’ora di chiusura, entrava nel Mc Donald’s, avanzava verso la cassa e a quel punto non doveva dire niente, perché la donna dietro al bancone aveva già capito. E infatti gli allungava un mezzo hamburger abbandonato in un vassoio, un altro bruciacchiato o un altro ancora dimenticato in cucina. Il bambino ringraziava con un cenno del capo, nascondeva la vergogna dietro un sorriso storto, infilava il panino nella borsa che portava a tracolla e usciva di là, per rifugiarsi lì dove si rifugiano i sognatori.
Quel bambino oggi è il Re del mondo. Si chiama Cristiano Ronaldo e – in un’intervista ala trasmissione «Good Morning Britain» – ha ricordato quei tempi, che sono felici solo nella memoria di chi non li ha vissuti. Era l’epoca in cui Cristiano Ronaldo giocava nello Sporting Lisbona.
«Avevo dodici anni ed ero senza soldi. Vivevo assieme ad altri calciatori della mia età e che venivano da ogni parte del Portogallo. Ed era difficile senza la mia famiglia accanto. Mi ricordo che c’era un McDonald’s lì vicino dove andavamo a chiedere gli hamburger che avanzavano. E c’era una signora che si chiamava Edna, che con due altre ragazze ce ne dava sempre qualcuno. Spero che raccontare questa storia mi aiuti a ritrovarle. Vorrei invitarle a cena a Torino o a Lisbona e ripagarle per quello che hanno fatto per me. Non lo dimenticherò mai».
Il bambino diventato re del mondo qualche giorno fasi è commosso nel rivedere un vecchio filmato del padre, morto alcolizzato quando la sua carriera stava per prendere forma. Fu suo padre ad avere la magica intuizione di chiamarlo Ronald in onore del suo mito, tenetevi forte, Ronald Reagan, l’ex presidente degli Stati Uniti che ai tempi belli fu un attore di Hollywood e dintorni. Ora il bambino diventato re del mondo ricorda – con sincera commozione – gli anni vissuti tra sogni e stenti. Hanno vinto i sogni, ma non era scontato. «Il successo è sempre stato la mia ossessione», ha raccontato Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, in arte CR7, quarto di quattro fratelli, figlio di Maria Dolores, cuoca municipale di Madeira e di Josè Dinis, nato e cresciuto nella stradina in salita della Quinta do Falcao nel quartiere Sao Antonio a Funchal nell’isola di Madeira che sta nell’Arcipelago Atlantico davanti al Portogallo.
Il primo trasferimento – dall’Andorinha al Nacional – si concretizzò per due mute di magliette, l’ultimo – dal Real Madrid alla Juventus – per quasi 110 milioni. Quando a dodici anni passò allo Sporting Lisbona i compagni di squadra lo prendevano in giro per il suo accento da provinciale. La corazza è uscita dopo, a nascondere una fragilità che – ora – ce lo rende più umano, meno supereroe. Oggi Cristiano è il calciatore più pagato del pianeta. La Juventus gira ogni anno sul suo conto 31 milioni di euro, 24 la Nike (il suo sponsor priniipale). Ha un patrimonio stimato attorno ai 500 milioni netti. Non ha problemi per mettere su il pranzo, se proprio bisogna dirlo. Questa storia ha tante morali, ma una più di altre: nella vita bisogna sempre avanzare qualcosa per gli altri, così, a futura memoria, perché c’è sempre un bambino che fuori da un Mc Donald aspetta di diventare il Re del Mondo.