Perché «1917» potrebbe vincere l’Oscar
All’Academy, si sa, le grandi epopee piacciono più delle cornucopie servite ai party sulle terrazze di Beverly Hills. Più è meticolosa la ricostruzione e maggiori sono le possibilità di vincere l’Oscar. Sarà per questo che i media americani sembrano convinti che, a dare del filo da torcere a Parasite, il film di Bong Joon-Ho che potrebbe scrivere la storia diventando la prima pellicola sudcoreana a ricevere la statuetta, sarà 1917, il nuovo film di Sam Mendes già premiato ai Golden Globe. La storia del cinema è piena di film dedicati alla trincea, ma sono quasi tutti concentrati sulla Seconda Guerra Mondiale. Sarà per questo che, forte del successo dei suoi due capitoli di 007, l’intenzione del regista è quella di approfondire quanto successo nella Prima, meno mainstream ma non certo meno brutale.
https://www.youtube.com/watch?v=uxi11hs-GMYL’ispirazione deriva dal racconti del nonno Alfred H. Mendes, che ha combattuto sul fronte riportando al nipote le emozioni provate nelle trincee inghiottite dalla paura che il giorno dopo il sole non sarebbe sorto per tutti. Protagonisti di 1917 sono due commilitoni inglesi dell’Ottavo Battaglione, Schofield (George MacKay) e Blake (Dean-Charles Chapman). A loro è affidata una missione delicatissima: attraversare la Terra di Nessuno, superare le linee tedesche e raggiungere il battaglione del Secondo Davon per consegnare una lettera che potrebbe salvare la vita a più di mille soldati, inclusi il fratello più grande di Blake. Inizia, così, una corsa contro il tempo che deve nel ricorso al piano-sequenza il suo punto di forza: secondo molti, infatti, sarà proprio questa tecnica a valere a Mendes il secondo Oscar della sua carriera. Per dirla come direbbero a scuola, il tempo del racconto coincide quasi sempre con quello della storia: noi siamo lì insieme a Schofield e a Blake e temiamo per la loro incolumità come se qualsiasi tipo di imprevisto possa fare più male a noi che a loro. Le riprese, che dovevano essere realizzate in un’unica trance proprio perché non c’era la possibilità di ripetere la scena, sono durate 65 giorni e hanno obbligato tutti i reparti ad avere un piano di lavorazione pressoché perfetto e calibrato al millesimo con i tempi, gli spazi e i movimenti. Sarà per questo che l’adrenalina e una certa dose di claustrofobia la fanno da padrone per tutta la durata del film, assicurandoci alla poltrona fino all’ultimo istante.
Al di là dell’incredibile dispiego di energie, tra le quasi una versione ridotta della Alexa LF per realizzare delle inquadrature ancora più precise e accurate, a colpire della visione della guerra di Mendes sono soprattutto i dettagli: il fango che scolora i calzoni, i ratti che si arrampicano sulle colonne di legno, i corpi putrescenti che galleggiano sull’acqua e le città distrutte che sembrano uscite da un universo distopico. In ogni singola scena c’è sempre qualcosa che rimanda alle brutture della guerra, a quella macchina affettatrice che ti conduce lontano dalla tua famiglia e non sai neanche bene perché. Non c’è la pretesa di raccontare una storia universale, ma quella di concentrarsi su una piccola grande avventura resa ancora più spettacolare dalla fotografia di Roger Deakings e dallo sguardo immobile dell’attore George MacKay, un attore che si era già fatto notare in Captain Fantastic e che, in 1917, offre una performance straordinaria legata proprio alla necessità di mantenere il sangue freddo per assicurarsi la riuscita della missione. E se nel cast compaiono per pochi attimi anche Colin Firth, Benedict Cumberbatch e Richard Madden, è chiaro che il punto focale del film sia soprattutto la sua confezione. Di nomination all’Oscar se ne è aggiudicate 10 e siamo sicuri che, indipendentemente da come andrà, ne sentiremo parlare.