La sindrome del secondo figlio
Siccome il caso non esiste, ma le potenti metafore sì, nel tavolo accanto a quello in cui questa intervista si sta svolgendo, alcune signore di età variegata prendono parte a un corso di cucito. Uniscono pezze, orli, scampoli, così come bisogna fare in certi momenti della vita di coppia. Rattoppare, sarebbe il verbo. Ma ricucire suona meglio. Che è sostanzialmente il tema di Figli, il film di cui Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi sono protagonisti. Un film pensato e scritto da Mattia Torre, ma portato a compimento da Giuseppe Bonito dopo la morte di Torre, il luglio scorso.
«Tutto è nato da un pezzo che Mattia scrisse per Il Figlio, l’inserto del Foglio. Me lo portò e mi disse: vorrei farci un film, vorrei ci fossi tu. Non era una sceneggiatura, non era nemmeno un soggetto e il mio personaggio non esisteva, ma con Mattia era sempre così: lui vedeva più avanti e ti accompagnava», dice Paola Cortellesi che nella storia è Sara, neo madre del secondo figlio e metà di una coppia – il marito è Mastandrea – che su questa seconda nascita, avvenuta a 6 anni da quella della primogenita, va in crisi per le cose più normali – e mortali – che avevano dimenticato: la deprivazione del sonno, il bordello in soggiorno, le rivendicazioni di lei a uscire una sera, almeno una, per respirare un po’, la mancanza di aiuti. «I figli sono il pretesto più grande per analizzare come si sta insieme, anche con la retorica del caso», dice l’attore. E su retorica e luoghi comuni – la donna che chiede i suoi spazi e quindi automaticamente diventa una rompicoglioni e l’uomo che, di fronte alle responsabilità, tende a imboscarsi – sul set i due hanno anche discusso. Cortellesi ricorda i dettagli, Mastandrea no. «Ma lei collega degli hard disk esterni alla parte sinistra del cervello, per quello memorizza ogni cosa», dice lui.
Anche se si conoscono da vent’anni e hanno fatto delle cose insieme, è la prima volta che i due attori recitano nella stessa pellicola. Tra le cose fatte ognuno per conto proprio vanno annoverati diversi film e un figlio a testa, tra quelle fatte insieme una relazione sentimentale, iniziata – e finita – esattamente venti anni fa.
Ma siete rimasti amici, mi pare.
Valerio: «Sempre amici, anche quando stavamo insieme. Forse è stato questo il problema».
Paola: «Ci siamo sbagliati. Lo possiamo dire? Essendo entrambi eterosessuali abbiamo scambiato il fatto di ridere insieme, cosa che facevamo spesso, per amore. Ma tu con il tuo compagno non devi solo ridere. Ci deve essere anche quella componente seduttiva».
Valerio: «Quel vedo non vedo».
Paola: «Quel dico non dico».
Valerio: «Quel sento non sento. Comunque è stato bello ritrovarsi in questo film. Penso che le carriere si incrocino quando il momento è giusto, e il progetto è giusto».
Anche se avete discusso sul set?
Valerio: «Alla fine avevamo torto e ragione tutti e due, come sempre. Come succede nella vita, quando hai a che fare con una novità dirompente come quella di un figlio. Ognuno viene da una famiglia che può essere disfunzionale oppure perfetta, ma proprio per questo devastante. La forza della coppia deve essere quella di trovare un modello insieme. Le coppie che ce la fanno sono quelle che riescono a costruire il loro modo di essere famiglia. Ci vogliono lucidità, coraggio e amore sufficienti per creare una nuova cosa. Bisogna avecce culo, soprattutto».
Paola: «La forza delle cose che scriveva Mattia Torre sta in questo: che ti riguardano sempre. E che ti fanno ridere di te. Riescono a far ridere anche quelli di noi che di solito non praticano l’autoironia. Infatti quando Valerio ha letto l’articolo di Torre a E poi c’è Cattelan, quel video è diventato virale perché parlava a tutti. Anche io mi sono identificata nelle varie tipologie di genitori che Mattia fa raccontare a una voce fuori campo all’inizio del film. Dicevo: siamo questi. Anzi no, siamo questi. No no, questi. Ho riso molto».
Valerio: «Io avrei voluto ridere di più quando sono diventato padre».
Che cosa glielo ha impedito?
Valerio: «L’ho presa pesante. A me non mancavano gli aperitivi – come invece dice Mattia – perché non li ho mai fatti. Ma dopo 38 anni in cui io sono stato il centro del mio universo, è stato straordinario – letteralmente: fuori dall’ordinario – scoprire che quando arriva un figlio diventi il punto di riferimento per un’altra persona. Una cosa che o ti uccide o, con sofferenza, ti rigenera. Sono qui, sono vivo e credo diverso. Se fossi stato più giovane penso non sarebbe cambiato molto, soltanto avrei avuto più energie e quell’inconsapevolezza che rende tutto più leggero. La stessa che hanno quelli che i figli li fanno tutti di seguito: 1, 2, 3. Anche 4».
Paola: «Le mie amiche che ne hanno tanti dicono la stessa cosa: molto caos, alla fine, produce ordine».
In Figli, i nonni sono tutti inaffidabili e svicolano dall’aiuto e dalla cura. È una questione generazionale? La loro intendo.
Paola: «Non si può generalizzare, a casa mia, famiglia di matrone, se le nonne avessero potuto avrebbero certamente aiutato. Ma sento dire in giro che non si può più contare su di loro perché, anche giustamente, vogliono poter fare la loro vita».
Valerio: «In questa storia dei nonni c’è un discorso più ampio sulle responsabilità delle generazioni che sono venute prima di noi. Un punto di vista che era di Mattia e che io condivido».
Resta il fatto che spesso le famiglie si ritrovano sole nella gestione dei bambini.
Valerio: «È uno dei grandi temi che si dovrebbero affrontare a livello sociale. Le famiglie stanno cambiando e non c’è più il tessuto intorno a dare una mano. Di fronte a questa solitudine ci sono strutture emotive che crollano improvvisamente».
Paola: «Si fa ancora fatica, nel nostro paese, a parlare del peso psicologico della gravidanza e della maternità. Devi fare buon viso a cattivo gioco non dico di fronte alla depressione post parto, ma anche solo di fronte alla fatica del quotidiano».
Valerio: «Ma come, sei madre e non sei contenta? Ti chiedono. Come se fosse tutto lì il senso di un’esistenza. Nessuno mai deve pensare di aver fallito se nella vita non ha avuto figli».
Paola: «E questo vale per le donne. Ma anche per gli uomini e per le coppie. La società ti fa sentire, con dei non detti, colpevole. Colpevole se non hai figli e colpevole se li hai e stai male».
La vostra coppia cinematografica coltiva il sogno di dividersi le responsabilità 50 e 50. Pensate sia davvero possibile?
Valerio: «Se parliamo di responsabilità dei propri comportamenti, sì. Io me le sono assunte tutte. Sono separato e sto mettendo in pratica tutto quello che ho imparato. Infatti quando ho guardato Storia di un matrimonio ho spento. Mi sono rotto il cazzo dopo 25 minuti. Lo scriva. Evidentemente sto più avanti di loro e voglio vedere storie che nascono: quelle che finiscono mi hanno rotto i coglioni».
Paola: «Ma non è che hanno fatto il film contro di te! Comunque, per rispondere alla domanda, se intendiamo le responsabilità in un senso più specifico, che è poi quello di Sara e Nicola, e cioè come suddivisione dei compiti, io penso che il 50/50 non sia possibile. Forse succede in Svezia o in Finlandia. In Finlandia quando nasce un bambino il padre ha quasi due mesi di congedo retribuito».
Valerio: «Sì ma in Finlandia non hanno la tangenziale alle 5 del pomeriggio. Le cose si bilanciano. Io e Mattia avevamo gli stessi sentimenti per i genitori nord europei. Li incontravamo nelle prime vacanze coi nostri figli piccoli: uomini bellissimi e magri, donne stupende. Quattro figli almeno e non avevano paura di niente. A me i nordici mi fanno sentire totalmente inadeguato, una merda».
Paola: «Non ci vedono nemmeno a noi. O forse, chissà, ridono addirittura di noi».
Ma voi il secondo figlio lo fareste?
Paola: «Io non ho mai pianificato nulla, nemmeno il primo. Non decido niente di queste cose».
Valerio: «Qualche anno fa avrei risposto immediatamente di no. Adesso penso che se ne possa anche parlare. Perché fare figli per me rimane un meraviglioso gesto d’amore. Nel frattempo sto scrivendo il prossimo film, ma non posso dire niente perché come mi ha detto una volta il regista Mohsen Makhmalbaf: se le idee le racconti, spariscono».
Paola: «Nel senso che te la grattano?».
Valerio: « Ma perché devi sempre vivere tutto come un elettrauto?».