Celebro-lesi dal pensiero
Un altro anno, un’altra terribile cerimonia Oscar, un altro giro di lezioni morali. Avanti Brad Pitt, arrabbiato di avere un presidente che si chiama Trump, mentre un altro premiato ci teneva a farci sapere che «i lavoratori del mondo si uniscono». Il vegano Joaquin Phoenix fatica a prendere sonno per ciò che l’umanità sta facendo al regno animale. Natalie Portman aveva i nomi delle donne registe senza nomination ricamate sul vestito. Chiunque è salito sul palco, oltre a salutare mamma e nonna, ha snocciolato giudizi sulla crisi della democrazia globalizzata, sul climate change, sul razzismo, sull’Occidente maschilista (e stupratore). Risultato: le consuete opinioni generiche, ingenuamente ideologiche che temiamo di ascoltare. Siate buoni, vogliatevi bene. E vogliatene anche agli extracomunitari, e giacché ci siamo: fermiamo Trump. Morti Zygmunt Bauman, Jean-Paul Sartre, Umberto Eco (e visto che Woody Allen non se la passa bene col MeToo), a chi rivolgersi per avere un’opinione? A chi, se non ai loro legittimi successori: attori, cantanti, divi e divette con abuso di pensiero?
Ma nulla di ciò che dicono fa la differenza. Questi attori devono sapere che non sanno nulla di politica o del mondo reale. Non possono ammetterlo da soli: la natura umana è quella che è, quindi si convincono che qualsiasi reazione rabbiosa al loro moralismo da talk significa che hanno osato dire la verità. E così il ciclo esasperante continua. Allora non possono aspirare al ruolo di pensatori? Certo che possono, a patto che si esprimano con gli strumenti del loro mestiere, con un balletto o con una canzone. Quando parlano rischiano di snocciolare banalità. Gli Oscar, dieci anni fa, erano ancora un grande evento. Le celebrità, nel loro fastidioso autocompiacimento, distribuivano opinioni sociali e politiche ma avevano più capitale culturale. E la gente ascoltava. Ora stanno ululando nel cyberspazio (quest’anno la serata degli Oscar ha ottenuto solo 23,6 milioni di spettatori, nel 2010 erano 41 milioni). Internet ha ucciso la stella di Hollywood. Andy Warhol ha sbagliato leggermente quando ha detto che tutti saranno famosi per 15 minuti. Grazie ai social media, tutti sono famosi per almeno 15 like. Instagram, Twitter e Facebook significano che non dobbiamo più guardare le stelle; siamo troppo occupati a guardare noi stessi. Mini-vip sono cresciuti online: influencer, YouTuber, streamer, e anche loro cercheranno di usare la loro posizione per la tribuna. L’era delle celebrità sta morendo. Non ci mancherà.