DistrEat, il ristorante bar che piace ai neo-gourmet. C’è qualcosa di nuovo (davvero) a Milano
In una città come Milano le novità sono tante, anche in tema food, ma spesso la differenza tra un locale veramente «nuovo» e altri che seguono tendenze effimere o già consolidate, è difficile da vedere. Nel caso di DistrEat, invece, si vede. E, dopo un anno dall’apertura, si può dire che è «qualcosa di diverso» e per una serie di ragioni concrete. Intanto, come dice l’insegna, è un «distretto da mangiare». Da un lato per l’ampia location, due piani per il ristorante, zona bar e cortile interno con altri tavoli; dall’altro per la formula: qui si può venire tutto il giorno. Il locale, in settimana, è aperto dalle sette del mattino proprio per permettere ai numerosi uffici nei dintorni di avere un nuovo punto di riferimento per la colazione, il pranzo e l’aperitivo. E ancora cena e dopo cena. La scelta del Naviglio Pavese – quello meno affollato – è tutt’altro che penalizzante: DistrEat – che si trova all’angolo tra via Imperia e l’Alzaia – è già riferimento per molti e quando inevitabilmente la gentrification arriverà anche qui, ecco che sarà uno dei posti già noti.
DistrEat occupa la casa padronale di una riseria degli anni ’30 dove è sorto un distretto creativo: il ristorante condivide gli spazi aperti con un’agenzia internazionale di comunicazione. L’arma in più è il giardino che nella bella stagione può accogliere fino a 50 coperti a integrare la sessantina sparsi sui due piani al coperto.
E il bar che la mattina propone dolci preparati nella cucina di DistrEAT, la sera si trasforma in un locale per l’aperitivo e, nel dopocena diventa un luogo ideale per l’after dinner. Un luogo di incontro – rilassato e informale – a due passi dalla Naba e dallo IULM: ecco perchè di giorno, all’ora di pranzo, è frequentato da giovani ma anche da professionisti in pausa lavoro mentre per la cena è chiaramente preferito dai gourmet. Ed è questa la sorpresa, ragionando freddamente.
DistrEat non è uno stellato Michelin (a dire il vero, se fosse a Stoccolma o Amsterdam lo sarebbe nel giro di un paio d’anni) ma neppure un’osteria. Ha un pubblico trasversale, per età e composizione sociale, ma non è il ristorante borghese che sta tornando di moda. I tre cuochi e i due responsabili di sala (giovani e tutti i soci) hanno puntato su una cucina italiana equilibrata, corretta e che si permette ogni tanto di guardare anche oltre confine, ma conserva un’anima lombarda. Una cucina attentissima alle materie prime, ma sempre con la bussola della stagionalità e della sostenibilità così da garantire prezzi competitivi per la più cara città italiana. Idem per la carta dei vini, composta perlopiù da referenze nazionali e di piccoli produttori, che arriva a circa 140 etichette.
Senza per forza dover inquadare DistrEat, a noi sembra un buonissimo esempio di quello che oggi dovrebbe essere un ristorante per chi non vuole la ritualità di uno stellato, lo stereotipo di tante osterie (diciamolo) e la scarsa fantasia dei ristoranti classici. Ai tavoli sono seduti i neo-gourmet o come dicono a DistrEat «i nostri clienti curiosi, quelli che vogliono sperimentare ma trovano comunque e sempre dei piatti affidabili». Quelli che i titolari hanno messo in una sezione della vivace carta chiamandola «Gli Irriducibili»: risotto alla milanese o con ragù di ossobuco, trippa di manzo, baccalà mantecato con polenta fritta e prezzemolo…
Clienti curiosi. Bella definizione. Perchè scelgono piatti come la Pizza fritta con carciofi arrosto, mortadella, spuma di pecorino romano e gli Spaghetti alle vongole, burro acido e katsuobushi (ossia i filetti di tonnetto essiccati e grattuggiati) oppure il Polpo scottato con salsa piri piri, broccolo fiolaro e mosto di vino cotto o ancora il Diaframma di Fassona piemontese, salsa alla cacciatora, spinaci e purè di patate.
Ma non basta, perchè è tempo di proporre delle ‘distrazioni possibili’ come un degustazione settimanale dal nome accattivante quale Abbinamenti insoliti: quattro portate e un pairing che può essere scelto anche da un solo cliente a tavola, pagando 50 euro. Insoliti perchè – al posto del vino – si possono testare bevande diverse. Nel primo esperimento, un estratto di mela verde e zenzero accompagna il già citato baccalà mantecato e il mezcal sour viene servito insieme al risotto con porri stufati, cotechino, paprika dolce e limone. L’Ayran, bevanda turca – a base di yogurt magro, sale, acqua, menta e peperoncino – accompagna una terrina di agnello, verza e pompelmo rosa. Dulcis in fundo, la tarte tatin con fiordilatte al pepe bianco ha come compagna una birra APA prodotta da Hibu. L’importante è divertirsi, stare bene, a due passi dal Naviglio Pavese. Tenerlo d’occhio, DistrEat.