Maria Sharapova: fra lacrime e diamanti, la carriera della Venere siberiana
L’indifferenza è sentimento impossibile nei confronti di Maria Sharapova. Chi l’ha amata non l’ha abbandonata mai, neanche nei mesi della squalifica per doping, chi invece non ne è mai rimasto affascinato non riesce a passare sopra quel lato algido da brava venditrice di se stessa più che da tennista impeccabile.
Masha, per gli amici, la Venere siberiana, per tutti gli altri, lascia il tennis che è stata la sua vita da quando, a 4 anni, le hanno messo una racchetta in mano. La famiglia si era trasferita in Siberia dopo il disastro di Chernobyl, fra Ucraina e Bielorussia non c’era futuro. Masha nasce qui, ma lascia presto il freddo siberiano per la calda Florida dell’accademia di Nick Bollettieri. Narra la leggenda che sia arriva negli Usa con il padre e 250 dollari in tasca. Il resto è storia del suo sport, non tanto per risultati quanto per impatto mediatico.
Maria Sharapova è bellissima e biondissima, glamour e algida. Alle colleghe non piace per niente. Al pubblico da impazzire con fisico da modella e urletti a ogni colpo. Lo sa e le va bene così. Sul campo ha di fronte un monumento come Serena Williams, capace di vincere tutto.
«Guardandola in tv non ci si rende conto della sua presenza fisica e della sua forza psicologica. Ha gambe e braccia enormi, una personalità che fa paura: accanto a lei mi sento sempre una bambina secca», scrive nella sua autobiografia. Poi infila il dito nella piaga: Wimbledon 2004 la russa batte l’americana. «Serena era in lacrime, stava singhiozzando. Io mi cambiai i vestiti e uscii velocemente ma lei si accorse che l’avevo sentita piangere e credo che questo sia la ragione per cui mi odia: quella bambina secca l’aveva sconfitta contro ogni pronostico».
In era Serena, Masha vince tutti gli slam (5 compreso Wimbledon appena 17enne e due volte il Roland Garros) ed è anche prima al mondo, ma gli infortuni la perseguitano.
Questo però non ferma la sua ascesa economica. Per undici anni consecutivi guida la classifica di Forbes delle atlete più pagate del mondo, nonostante le sue vittorie fossero meno di quelle della giocatrice americana. Neanche il doping, la positività al meldonium (entrato nella lista dei farmaci proibiti, ma lei non aveva letto l’e-mail), hanno fermato l’industria Sharapova fra abitini (una sua linea e il rapporto con Nike), sponsorizzazioni e contratti da testimonial, oltre alle caramelle Sugarpova.
Ferma per la squalifica ha studiato fino al Master per assicurarsi un futuro da ancora migliore imprenditrice di se stessa. Le amicizie nell’America che conta non mancano e non è mai venuta meno l’anima russa con Vladimir Putin, che l’ha voluta portabandiera olimpica. Il pubblico c’è già: oltre 15 milioni di follower su Facebook, quasi nove milioni su Twitter, quasi 4 su Instagram. Gli ultimi due anni sono stati tentennanti sul campo, ma vincenti in amore con il multimilionario Adam Glikes, gallerista amico dei Reali d’Inghilterra, arrivata dopo le storie con il cestista Sasha Vujacic e il collega Dimitrov.
Forse proprio in questi due anni Masha è sembrata più umana. «Sotto questo abitino con cristalli di Swarovski, c’è una ragazza buona e non andrà via» disse mostrando lacrime copiose dopo la vittoria al primo turno degli Us Open, suo rientro in un torneo degli slam, dopo la squalifica e l’ennesimo infortunio. Da allora solo qualche apparizione sul campo e molte di più sul red carpet. Non sarà difficile per lei abituarsi alla nuova vita.