Poussey Washington in Orange Is The New Black e il ruolo delle serie tv nella conversazione sui diritti umani
Se non avete ancora visto Orange Is The New Black, beh, allora potete aspettare perché questo non è il momento giusto per investire il vostro tempo in una maratona tv. Piuttosto, è il momento giusto per spenderlo in riflessioni collettive e in informazione, per firmare petizioni, donare, manifestare e imparare a supportare il movimento Black Lives Matter, di cui purtroppo capita di ricordarci solo quando il peggio è avvenuto.
In questo caso, il peggio è stato segnato dalla morte del cittadino afroamericano George Floyd per mano di un poliziotto bianco, che lo ha ucciso tenendolo immobilizzato con un ginocchio sul collo, impedendogli così di respirare.
Se avete visto Orange Is The New Black, una scena del genere vi è già capitata davanti agli occhi e vi rimarrà per sempre addosso: una delle protagoniste afroamericane, la detenuta Poussey Washington, muore per asfissia da compressione causata da una guardia carceraria, che la immobilizza a terra durante una protesta pacifica nel carcere .
Se Poussey è un personaggio di finzione, le vere vittime di questi atti di violenza non lo sono e il tragico finale della quarta stagione di OITNB nasce per rievocare i tanti soprusi subiti dalla comunità nera nel corso della storia. In particolare, i due omicidi a seguito dei quali sono nati, rispettivamente, il movimento Black Lives Matter e il suo slogan I Can’t Breathe: l’omicidio di Trayvon Martin nel 2013 e quello di Eric Gardner nel 2014.
L’importanza della storia di Poussey non è solo quella di aver immortalato sul piccolo schermo un evento così tragico, ma di averlo fatto raccontando l’intero percorso di una giovane ragazza, con una pena di sei anni per possesso di marijuana (succede veramente), a cui tutti gli spettatori erano estremamente affezionati perché priva di qualsiasi connotato criminale (o da villain, come poteva essere una Vee, parlando in linguaggio televisivo).
«Sono scioccata, per me Poussey era come un’amica» sono le parole della madre di Samira Wiley, quando l’attrice le ha rivelato in totale segretezza come sarebbe finito il suo personaggio nella quarta stagione.
Poussey era un’amica, un’amante e una sorella per tutte le detenute che avevano condiviso il percorso con lei. La sua morte ha rappresentato un momento di shock collettivo perché ci ha costretto a guardare in faccia la fine violenta e ingiusta di un personaggio che avevamo iniziato a considerare come una persona che conoscevamo veramente e a cui non eravamo assolutamente pronti a dire addio.
Non meritava di morire, così come nessuna delle vittime uccise ingiustamente dal razzismo bianco.
Nel documentario XIII emandamento della regista Ava DuVernay, disponibile su Netflix, l’attivista e scrittore Van Jones spiega come è ancora necessario «scioccare le persone [attraverso le immagini] per forzare una conversazione sui diritti umani». Purtroppo è vero ed è la stessa consapevolezza che ha accompagnato l’ideatrice di OITNB Jenji Kohan e il team di autori (la puntata Animali in gabbia, in particolare, è stata scritta da Lauren Morello, e ci siamo capiti) nella scelta che li ha portati a porre fine al percorso di Poussey. In quanto spettatori e, soprattutto, in quanto comunità bianca nel migliore dei casi immune, ma nel peggiore carnefice delle violenze e delle ingiustizie di matrice razzista, dobbiamo ancora assistere a immagini scioccanti per renderci conto non solo dei nostri privilegi, ma di come proprio in virtù di questi, il cambiamento debba partire proprio da noi.
Lo sa bene la produzione di OITNB che, alla fine dell’ultima stagione, ha lanciato insieme a Netflix un crowdfunding per l’istituzione del Poussey Washington Fund, il fondo a sostegno delle ex detenute creato da Taystee nel finale del telefilm. Oggi il programma esiste davvero e supporta anche le associazioni per i diritti degli immigrati e la riforma della giustizia penale.
In un post su Instagram di poche ore fa, Laura Gómez, l’attrice che interpreta la detenuta messicana Blanca Flores, ha ricordato la responsabilità della televisione, e di ognuno di noi nella propria vita privata e attraverso i propri canali social, di costruire narrazioni positive e di non smettere di credere nello storytelling come strumento per diffondere le storie che meritano di essere ascoltate. Nel suo post trovate anche qualche consiglio sulle serie tv da guardare, mentre sul profilo di Samira Wiley trovate il link in bio con tutte le istruzioni per supportare il movimento Black Lives Matter.
Questo è il momento giusto per farlo e per iniziare a riflettere seriamente su come possiamo creare un percorso che non finisca appena la cronaca smetterà di parlarne, non solo dando supporto a un paese lontano ma partendo proprio da qui, dalle nostre comunità afroitaliane e dalla responsabilità che abbiamo di fermarci, sederci e ascoltarle.