Aids, Giusi:«Sono sieropositiva, smettetela di giudicarci»
Sei mesi di vita. È questa la prospettiva che i medici hanno dato a Giusi quando le è stato comunicato di essere risultata positiva al test dell’Hiv. «Era maggio e mi dissero che non sarei arrivata a Natale» ci racconta Giusi, che oggi, 21 anni dopo quel terribile sabato mattina, sta bene. Da una diagnosi di Aids conclamato, Giusi è passata ad essere «quasi un soggetto clinicamente sano, ho un virus che dorme, con una carica virale sommersa da più di dieci anni e deve rimanere così. Non sono infettiva».
Quella di Giusi, che oggi è presidente della sezione Lila di Como e fa parte del coordinamento nazionale della Lega Italiana per la lotta contro l’Aids, è la storia di moltissime persone sieropositive che oggi grazie alle terapie antiretrovirali convivono con il virus e hanno una qualità della vita sempre più alta. Un traguardo impensabile solo 20 anni.
In occasione della Giornata Mondiale contro l’Aids che si celebra il 1 dicembre in tutto il mondo, vi raccontiamo la sua storia.
«Dopo la diagnosi sono stata ricoverata e poche ore dopo sono entrata in coma vigile per una pneumocistosi, che è una infezione opportunistica dell’Aids. Sono rimasta in coma vigile per 50 giorni e al mio risveglio mi è stato detto che mi restava molto poco da vivere». Oggi nel mondo le persone con infezione da Hiv 38 milioni nel mondo, in Italia sono 120 mila quelle in trattamento mentre nel 2019 sono stati segnalati 571 nuovi casi di Aids e 2.531 nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari a 4,2 nuovi casi per centomila residenti.
«Non sospettavo nulla» ci racconta Giusi ancora profondamente toccata dal ricordo di quei momenti. «Mi stavo curando per un papilloma virus da un po’, avevo un ristorante di proprietà che avevo chiuso perché stavo male. La diagnosi è arrivata perché una ginecologa privata mi chiese se poteva farmi i test per le malattie sessualmente trasmissibili, tra cui l’Hiv. È stato un colpo inaspettato, nessuno ha mai pensato di farmi questo esame perché ero stata classificata come “brava ragazza”: avevo una mia attività, non venivo da un mondo a rischio, non avevo mai fatto uso di sostanze, non mi ero mai prostituita, non ero omosessuale, ero la classica ragazza come tante».
Insieme alla diagnosi per Giusi è arrivata la solitudine. «È stato l’assoluto isolamento perché sono rimasta completamente sola, non ho avuto accanto nessuno se non un’amica in quel momento. Non è stato facile, vengo da un mondo commerciale, ho iniziato a lavorare nei supermercati a 15 anni, ho avuto tre ristoranti e trovarmi di colpo senza niente è stato terrificante. Mi chiedevo perché fosse successo».
Da subito a Giusi erano state date pochissime speranze. «Mi avevano detto che la terapia per me non avrebbe funzionato, io però sono andata all’ospedale Sacco dal Dott. Moroni, che era un luminare per l’Aids e lui disse che avremmo provato. Così ho iniziato i medicinali, con tantissimi effetti collaterali, tra cui anche un cambiamento fisico. Mi sono trovata a passare dalla taglia 42 alla 56 in un paio di mesi. Avevo preso più di venti chili, ero devastata però c’ero». Esserci equivaleva a 21 famarci al giorno, ogni quattro ore.
«Un anno dopo ho affrontato il divorzio, con il sostegno legale di Lila e ho iniziato a partecipare a dei corsi per saperne di più, per diventare operatrice telefonica. Arrivare in Lila è stato per me come avere una nuova famiglia, quando non avevo veramente più nulla né economicamente né affettivamente. Mi ripetevo che se mi ero svegliata da quel coma non potevo lasciarmi andare».
Oggi l’ostacolo più grande per Giusi e la maggior parte delle persone sieropositive è il giudizio. Quello sguardo della società che stenta a cambiare. «Le persone quando sanno che hai una malattia dicono “mi dispiace”, se dici che hai l’Hiv l’espressione cambia, c’è già come un giudizio sospeso sulla persona. Io ero una persona prima dell’Hiv e lo sono ancora. Ho dichiarato più volte che sicuramente ho perso parecchio con l’Hiv ma ho anche riacquistato tantissimo. Ho avuto modo di mettere a fuoco quello che per me contava davvero. Oggi faccio quello che desidero ed essere di supporto alle persone, come riesco a fare all’interno di Lila, è una grande cosa».
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