Simonetta Columbu: «Papà, traslocando si impara e… Che Dio ci aiuti!»
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Gli scatoloni vuoti da chiudere in attesa del trasloco. Una valigia piena di sogni da riempire, continuando a migliorarsi per quello che considera il mestiere della vita. L’attrice Simonetta Columbu, ormai romana d’adozione ma con la Sardegna nel cuore, è una ragazza riservata. La sua voce fa trapelare l’emozione di chi non crede ancora di essere arrivata sul piccolo schermo, dove interpreta in Che Dio ci aiuti 6, su Rai 1, il personaggio di Ginevra accanto ad Elena Sofia Ricci, Valeria Fabrizi, Francesca Chillemi e Diana Del Bufalo. Tra femminilità e femminismo, numerosi progetti da realizzare e un papà regista, che l’ha sempre lasciata libera di scegliere la via più retta da seguire. Columbu, dopo aver girato per qualche mese ad Assisi durante le riprese della serie targata Lux Vide e Rai Fiction, ha scoperto di avere una profonda ed inaspettata fede. Come? Pregando in una chiesa davanti al Beato Carlo Acutis, considerato il giovane protettore del web. Poi, la voglia di cinema e quella di sperimentare il palcoscenico teatrale, però gli occhi di Simonetta brillano parlando di maternità. «Mi sento già mamma e moglie a 27 anni, appena nata desideravo un figlio, da bambina avevo un istinto materno assurdo», racconta sorridendo mentre spera di trovare presto l’anima gemella con la quale costruire la sua famiglia. Un valore in cui crede fermamente, da condividere solo insieme all’uomo che amerà davvero e saprà ricambiare il suo sentimento. Puro e autentico come lei.
Un papà regista, Giovanni, ma nessuna spintarella. È stato difficile iniziare a lavorare?
«Di sicuro non è stato facile o scontato, come in ogni lavoro ho dovuto partecipare ad alcuni provini, studiare, affrontare un percorso che, tra l’altro, non è ancora terminato. Ho raggiunto tantissimi bei traguardi, però non penso di essere arrivata. La strada è lunga!».
Anche se da lui è stata diretta nella pellicola Su Re del 2012 e nel docufilm Surbiles del 2017. Suo padre è più severo a casa o sul set?
«In realtà è una persona calma, gentile e disponibile. Ha una forte personalità ma dà anche molta libertà di espressione. Sono stata cresciuta in maniera pure severa con delle regole precise, secondo me giuste. La severità talvolta è necessaria».
Il primo provino?
«All’età di 14 anni, in seguito non ne ho fatto altri. Era per un film in cui avrei dovuto baciare un ragazzo. Tuttavia ero fidanzata, non avevo capito esattamente cosa avrei dovuto fare e chiesi di evitare la scena del bacio».
Bella e possibile o l’aspetto estetico è stato un limite per la sua carriera?
«Non me l’hanno mai detto. Penso di essere una ragazza carina, lontana dall’ideale di bellezza canonica. Non è stato un limite ma un’agevolazione, un valore aggiunto. Al cinema o in televisione ci sono diverse figure: non importa interpretare il bello o il brutto, dopotutto ciò che conta è la personalità. Se un attore è bravo e ha carattere arriva a chiunque».
Radiosa, ha recitato interpretando questo ruolo con Elio Germano e Marco Giallini nel film Io sono Tempesta, per la regia di Daniele Luchetti. Che esperienza è stata?
«Un’esperienza meravigliosa. Quando sono arrivata sul set di Daniele ero davvero emozionata, mi ha preso al primo provino. Appena l’ho conosciuto è andata bene ed era contentissimo. Non avevo fatto granché e non mi aspettavo che un grande regista come Luchetti scegliesse me. Invece l’ha fatto dicendomi di tornare a casa felice. Un maestro, non solo nel comporre un’opera filmica ma anche nel dirigere gli attori. Con poche parole riesce a dare l’indicazione più opportuna per esprimersi liberamente davanti alla cinepresa. Ovviamente rispettando la sceneggiatura e la storia».
Da Cagliari alla Capitale per studiare, ma sempre con la Sardegna nel cuore?
«Certo, però prima di Roma ho vissuto a Londra. La Sardegna e la mia città sono nel cuore. Mi sento molto sarda. Quando i miei amici romani mi urlavano “Ahó!”, inizialmente ero un po’ imbarazzata e sconvolta, sono un tipo riservato. Pietrificata, mi giravo come un pulcino spaurito, sembravo appena uscita dal castello delle principesse. Ora mi sono abituata e adattata allo spirito capitolino, che è super simpatico e troppo divertente!».
Traslocando si impara?
«Parecchio, ho una visione nordeuropea in merito. Soprattutto quando i ragazzi devono lasciare il nido e tagliare il cordone ombelicale. In Italia, normalmente, si va via di casa a 30 anni. Andarsene presto, diciottenni, è una premessa fondamentale per crescere, raggiungere l’indipendenza, confrontarsi con se stessi e la propria forza».
La sua famiglia era favorevole alla decisione di intraprendere il difficile percorso attoriale?
«Sono stata tirata su con l’idea che nella vita avrei potuto fare tutto. Così educherò i miei bambini un giorno. Ognuno, impegnandosi, può realizzare nella sua dimensione gli obiettivi che si prefigge. Non arrivando a tutti i costi ai vertici della popolarità. Mio padre mi diceva che sarebbe stato d’accordo se avessi voluto collezionare farfalle. Qualunque via avessi deciso di percorrere, i miei genitori sarebbero stati fieri di me. I nonni, purtroppo, hanno sofferto il distacco. In particolare nonna Simonetta, che nutriva un affetto immenso nei miei confronti. Sono sicura che la mia famiglia è più soddisfatta adesso che non vivo a Cagliari, poiché se fossi rimasta lì magari non avrei fatto niente nel campo della recitazione. Bisogna lasciare i propri figli liberi di volare, senza alcun tipo di pressioni, comprese quelle inconsce».
L’attrice italiana o internazionale che ammira?
«Marion Cotillard e Penélope Cruz, seppur diverse tra loro. La prima ha un fascino romantico e provenzale, la seconda è più latina, caliente e passionale».
Perché?
«Sono due attrici che usano veramente l’anima nel momento in cui recitano».
In Che Dio ci aiuti 6 su Rai 1, il suo personaggio Ginevra si spoglia dei panni da novizia e svela una nuova immagine, libera e meno ingessata.
«Nella quinta stagione Ginevra appariva ed era ingessata, chiusa nelle proprie idee, quasi delle ideologie, perché non aveva mai vissuto a contatto con l’esterno e gli altri. Viene da una violenza domestica, un problema purtroppo attuale nel nostro mondo così evoluto, globalizzato ed intelligente e, a causa di questa bruttura, assiste alla morte della madre, uccisa dal padre davanti ai suoi occhi. Finisce così in orfanotrofio e giunge successivamente al convento di Suor Angela (Elena Sofia Ricci, ndr). Ginevra non si è mai confrontata con i coetanei e con se stessa in primis. Indaga nella sua interiorità e scopre l’amore per Nico (Gianmarco Saurino, ndr). In “Che Dio ci aiuti 6” diventa più sicura e si concede la possibilità di sbagliare, osare e tentare, che per lei sono le basi della crescita».
Femminilità o femminismo?
«Il concetto di femminismo si dimostra attraverso i fatti. Si è femministe non perché si dice di esserlo, lo sono le donne che si danno l’opportunità di essere ciò che vogliono. Una donna femminista può scegliere di fare la casalinga, occupandosi dei suoi figli o decidere di non averne. Ma è comunque felice se, ascoltando la voce interiore, si sente libera. Ginevra, impacciata e buffa, fa parte di questo movimento ed è abbastanza femminile come me. Si può essere sexy o mascoline pur preservando i propri ideali».
Sulla prima rete Rai affianca, nella serie prodotta da Lux Vide e Rai Fiction, Francesca Chillemi e Diana Del Bufalo. Rivalità tra un rosario e l’altro?
«No, assolutamente. Francesca e Diana sono due ragazze simpatiche e generose. Non ci sono mai stati screzi o rivalità. Interpretiamo personaggi differenti sul set e ognuna veste il proprio ruolo, che si intreccia a quello delle altre sullo schermo regalando qualcosa di magico ai telespettatori. Tutte e tre abbiamo raggiunto i nostri traguardi, dovremmo essere orgogliose di noi».
Elena Sofia Ricci e Valeria Fabrizi prof. di recitazione a ogni ciak?
«Due mostri sacri. E, nonostante siano delle star italiane, sono donne umili e semplici. Immediate e spontanee, non si danno delle arie. Per qualche mese io e Valeria abbiamo girato un sacco di scene ad Assisi».
Pare sia appassionata di moda. Presto testimonial di un brand?
«Forse, in futuro. Work in progress».
Da quale stilista le piacerebbe ricevere una telefonata?
«Mi piacciono vari stili. Amo gli smoking, le giacche e i tailleur di Giorgio Armani, così come adoro da morire Dolce e Gabbana o Versace. Prediligo i marchi made in Italy».
Era nel cast di Maria per Roma di Karen di Porto, voglia di cinema?
«Quella non se ne è mai andata. L’aver fatto parte del cast di alcune pellicole, come nel caso di quella diretta Karen, che ammiro ed è una mia carissima amica, mi ha permesso di apprezzare il cinema e le fiction, approfondendo lo studio dei personaggi. Nelle serie, a differenza del grande schermo, i ritmi sono incalzanti».
In quale parte si vedrebbe?
«Non ho preferenze. Ad esempio, nella Capitale ho abitato ai Parioli o nei quartieri periferici e, in qualsiasi luogo, trovavo poesia e bellezza. Lo stesso vale per i ruoli, nel cattivo c’è qualcosa di straordinario. Se mi chiedessero di interpretare una portinaia lo farei, perché chiunque ha qualcosa di interessante nella sua apparente inutilità. La mia maestra Francesca De Sapio, che è stata legata ad Al Pacino e ha recitato ne “Il padrino” prima di dedicarsi all’insegnamento con il suo decennale compagno Vito Vinci, mi dice spesso che non ci sono personaggi inferiori ma esistono solo piccoli attori».
E il teatro?
«Non sono mai salita sul palco di una sala teatrale. Vorrei portare in scena “L’importanza di essere onesto” che, attenzione, non è Ernesto. Si tratta di un testo che mi aveva consigliato De Sapio».
Quella leggera inflessione sarda fa discutere. È un problema per lei?
«Lo è più per gli altri. Mi hanno detto che non dovrebbe esserci, infatti sto frequentando un corso di dizione. Da una parte è corretto che un’attrice parli senza cadenze regionali così ha maggiori chance di interpretare ruoli diversi. Dall’altra non capisco perché il romanesco è sdoganato invece il sardo, che è una lingua a tutti gli effetti, non è apprezzato. Anzi, è addirittura detestato e, in certe situazioni, oggetto del pregiudizio altrui».
La pandemia, prima di approdare in tv, ha frenato i suoi impegni professionali?
«Sì, li ha un po’ bloccati. Avrei dovuto doppiare una delle protagoniste del cartone animato diretto da mio padre. L’immagine sarà ispirata al mio viso, il titolo è in fase di definizione».
Dopo il piccolo schermo, quando arriverà il debutto sul grande?
«Grazie al film d’animazione che prevede cinque personaggi e andrà al cinema, non sulle piattaforme online, suppongo alla fine del prossimo anno».
È innamorata?
«No, sono single. Mi sento già mamma e moglie a 27 anni, appena nata desideravo un figlio e da bambina avevo un istinto materno assurdo (ride, ndr). Uno dei miei desideri, al di là della carriera artistica, è quello di creare una famiglia. Ma vorrei esaudirlo con un compagno affine, un uomo compatibile di cui sono innamorata, che ricambia il mio sentimento nonché il mio punto di vista. Ho avuto delle storie passate, il pensiero di spingersi oltre il semplice fidanzamento c’è stato. Ma non andavamo d’accordo e, dunque, le ho interrotte. Miro alla stabilità psicologica ed emotiva, serve fiducia per edificare una solida relazione a due».
Cosa riempie la valigia dei sogni di Simonetta?
«Tantissimi progetti lavorativi e familiari mantenendo la solarità e la positività. Parola, quest’ultima, che oggi non è benvoluta. Continuo a coltivare le mie passioni quali la lettura, le passeggiate, la settima arte, il legame con le migliori amiche Camilla e Cecilia e, naturalmente, il rapporto con i miei».
Foto: Giorgia De Angelis
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