Eutanasia, Welby e Cappato assolti: «Ora la legge sul fine vita»
I giudici della corte d’Assise d’appello hanno confermato l’assoluzione di primo grado. Mina Welby e Marco Cappato, rispettivamente copresidente e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, sono stati assolti dall’accusa di aiuto al suicidio offerto al 53enne di Massa Davide Trentini, malato di sclerosi multipla e morto in una clinica in Svizzera il 13 aprile 2017.
Quattro anni fa avevano fornito assistenza al malato toscano nel raggiungere la Svizzera dove ricorse al suicidio assistito. A seguire si autodenunciarono per affermare un diritto fondamentale a una dolce morte anche per le persone nelle sue condizioni.
«È una conferma di assoluzione per un malato che non era dipendente da trattamenti meccanici, ma dipendente da trattamenti di sostegno vitale farmacologici. L’aiuto che è stato fornito da Marco Cappato e Mina Welby non costituisce reato ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale» spiega Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni e coordinatore del collegio di difesa di Welby e Cappato.
Quale è l’importanza di questa sentenza?
«Questa sentenza è importante perché conferma in secondo grado la decisione del primo. Dovremo attendere le motivazioni per entrare nel dettaglio».
È un passo in avanti?
«Lo è in un paese dove però ci sono malati che sono esclusi dal suicidio assistito perché non ancora dipendenti da trattamenti di sostegno vitale. Sono malati con patologia irreversibile, anche a volte con prognosi infausta a breve, ma che non stanno ancora così male da avere trattamenti di sostegno vitale abbiamo depositato un quesito referendario per l’abrogazione di una parte dell’articolo 579 che riguarda l’omicidio del consenziente e poter arrivare anche in Italia a poter affermare quel diritto alla libertà di scelta di questi malati che li porta alla scelta dell’eutanasia. Davanti a un Parlamento immobile e a una politica refrattaria ad affrontare questi temi sono i giudici che stanno affermando delle libertà»
Anche altri inviti a legiferare, per esempio sulle famiglie omogenitoriali, sono arrivati sempre dalla magistratura.
«Sembra quasi che quando si parla di affermazione delle libertà personali ci sia un problema del legislatore italiano che teme l’affermazione delle libertà. Siamo in un paese democratico in cui vige lo stato di diritto e purtroppo siamo costretti a percorrere tutte le strade possibili dai tribunali alle iniziative popolari per arrivare a un’affermazione delle libertà personali degli individui. In attesa di un legislatore che sappia riconoscere nelle libertà civili il fiore all’occhiello del nostro paese saremo costretti a intraprendere tutte le strade possibili affinché la Costituzione sia affermate».
Referendum, tribunali, quali altre vie?
«C’è una proposta di legge di iniziativa popolare che giace in Parlamento da due legislature per la legalizzazione dell’eutanasia. E poi ci sono le persone che non possono attendere i tempi della politica. Siamo nuovamente nei tribunali per malati che non riescono ad accedere alla possibilità di porre fine alle proprie sofferenze pur avendo i requisiti previsti dalla sentenza Cappato. Il 21 maggio saremo in tribunale a Ancona per un malato per cui la Asl disconosce portata della sentenza costituzionale».