Raffaella Carrà: storia di una diva che ci ha conquistato prima con il cuore e poi con la testa
Difficile definirla «rivoluzionaria» visto che Raffaella Carrà, al secolo Raffaella Maria Roberta Pelloni, oltre ad aver sempre odiato le etichette, è sempre stata lontanissima dalla bellicosità degli arrivisti, dalla cattiveria spietata che porta ad annientare gli avversari pur di avere i riflettori puntati su di sé. La Raffa Nazionale, così come l’hanno sempre chiamata i giornali, ha scritto la storia senza prendersene il merito ma, anzi, restando sempre due passi indietro rispetto ai primi della fila, consapevole di aver rotto più di una barriera ma anche di essere sempre rimasta un’eterna ragazza con il sogno del cinema, capace come poche di destreggiarsi in tutte le arti – ballo, canto, conduzione e recitazione – senza una sbavatura, senza perdere quel sorriso che gli italiani hanno adottato nelle loro famiglie insieme a quel caschetto biondo che, così come ha raccontato lei stessa nell’intervista di copertina che ha rilasciato a Vanity Fair nel 2019, conservava una piccola particolarità: un codino ispirato a un paggetto dipinto da Piero Della Francesca che lei, Raffaella, ha voluto replicare alla sua maniera.
https://www.youtube.com/watch?v=NFbeKqmI-8MLa Carrà se n’è andata così come ha vissuto: lasciando agli altri il baccano e tenendo la discrezione tutta per sé. Nelle interviste – è stata anche ospite del late show di David Letterman nel 1986 – non si è mai raccontata troppo, ed è quasi paradossale che sia stato un programma come A raccontare comincia tu, dedicato alla vita e alla carriera di altri personaggi, ad averci detto qualcosa in più su di lei: da quando ha confidato alla Loren quanto si è mangiata le mani per non aver lavorato con Marlon Brando a quando ha raccontato a Maria De Filippi che il fatto che C’è posta per te avesse preso qualcosina da Carramba che sorpresa l’aveva un po’ destabilizzata. La verità è, qualsiasi cosa facesse, la Carrà sapeva che il pubblico sarebbe stato dalla sua parte: dal famoso Tuca Tuca con quell’abito con l’ombelico scoperto realizzato da Enrico Ruffini che tanto indignò la corrente ultra-cattolica a quella volta che, con incredibile destrezza, riuscì a non farsi sollevare la gonna da Roberto Benigni a Fantastico; da quando cercò di tenere a bada l’irrequietezza di Massimo Ceccherini a Sanremo a quando scambiò un ragazzo per una ragazza a The Voice. Di tutte le mille arti in cui si è destreggiata e di tutti i tormentoni che ha creato – dai fagioli da indovinare al «È quiiii!» che è diventata la frase più parodiata degli anni Novanta – la lezione più importante che Raffaella Carrà ci ha lasciato è un’altra: restare fedele a sé stessa mostrando la sua parte migliore, trasformando le emozioni non in qualcosa da chiudere con un lucchetto, ma in un punto di forza da usare a proprio vantaggio.
Raffaella Carrà, dopotutto, non si è mai tirata indietro, non ha mai premuto per continuare a essere a tutti i costi protagonista perché sapeva di «aver già dato»: a lei bastava il calore del pubblico che la fermava per strada, non la bramosia di avere a tutti i costi una telecamera puntata addosso, e il fatto di aver accettato di fare la coach di The Voice of Italy e di essersi proposta come intervistatrice attenta e premurosa in un programma così ben fatto come A raccontare comincia tu, la sua ultima fatica televisiva, ne sono stati la dimostrazione. Di record e di traguardi potremmo citarne a bizzeffe – canzoni come «Tanti auguri» e «Pedro» non sono mai andate in pensione, senza contare il successo internazionale in Paesi come la Spagna che, d’altro canto, proprio quest’anno le ha dedicato un musical, Ballo Ballo, disponibile su Prime Video -, così come la capacità di stupire e di non tirarsi indietro davanti a niente, inclusa quella volta che si infilò una maglia di lurex fatta con le catenelle dal ferramenta senza apparire volgare o inappropriata. Il The Guardian l’ha tributata per aver insegnato «la gioia del sesso» all’Europa, ma noi la Carrà la ricorderemo soprattutto per aver scelto, anche nella morte, di mostrare il suo lato migliore, rinunciando a quel pettegolezzo fastidioso che sarebbe scoccato qualora avesse rivelato a qualcuno della stampa la notizia della sua malattia. Sarà per questo che, ora che se n’è andata, sentiamo di aver perso una presenza rassicurante che sedeva alla nostra tavola, una professionista che ci ha insegnato a ridere, a ballare, ma anche a riflettere e a piangere: l’idea di non vederla all’Eurovision Song Contest dell’anno prossimo come madrina ad honorem – lei che alla manifestazione ha creduto fino allo stremo – un po’ ci dispiace, ma in fondo Raffaella Carrà sarà sempre con noi, perché ci ha conquistato prima col cuore e poi con la testa.