La Caritas prolunga di un mese il rifugio per i senzatetto di Mantova
Il rifugio per i senzatetto nell’ex palestra del seminario vescovile di via Cairoli rimarrà aperto un mese in più: doveva chiudere il 31 marzo con la conclusione dell’annuale “Piano freddo” della Caritas diocesana, ma i lavori all’ex dormitorio comunale sono in ritardo e la nuova stazione di Posta non aprirà per Pasqua come previsto. «Il Comune ci ha chiesto di prorogare di un mese e sentito l’ufficio della diocesi abbiamo deciso di dare la disponibilità per aprile» conferma il direttore della Caritas diocesana Matteo Amati precisando che comunque si tratta di uno spazio adattato per situazioni di emergenza e non per accoglienze durature.
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In questo mese «l’equipe per la grave marginalità guidata dal Comune con associazioni come Abramo, Agape, Alce Nero, cooperativa Bessimo, che ha accompagnato l’accoglienza, studierà soluzioni per ciascun ospite perché non resti in strada».
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Gli ospiti
Al momento gli ospiti sono 17, il rifugio ha 21 letti e da inizio ottobre ha accolto 51 persone, su 67 richieste, di tredici nazionalità, di cui il 10% italiani, il 20% di origine marocchina, il 20% tunisina, il 20% pakistana oltre che indiana e della Nuova Guinea e per quattro di loro sono state presentate le dichiarazioni di ospitalità che gli hanno consentito di trovarsi un lavoro.
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Dopo Casa Sabatelli che tra il 2022 e il 2023 accolse i profughi della rotta balcanica costretti a dormire in piazza Castello, il rifugio ha offerto quest’inverno un tetto per le notti di gelo a persone con fragilità disparate. «Avere uno spazio per queste e altre emergenze per noi è importate ed è un bel segno che quella che era la casa dei vescovi sia diventata luogo di accoglienza per le persone ai margini».
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«Un modello»
Un’esperienza che «ha anche visto una risposta della cittadinanza alla grave marginalità con un gruppo di volontari che si è ingrandito di mese in mese». Ormai sono circa una cinquantina e di ogni età quelle e quelli che ogni mattina si danno il cambio per preparare le colazioni: «Sono persone che condividono un’idea di solidarietà a prescindere dalla provenienza e questo ci ricorda che stare a contatto con le vulnerabilità aiuta a edificare la nostra umanità». D’altronde è nel Dna di Caritas rispondere alle fragilità scoperte potendo contare sulle istituzioni, sulla comunità civile e sul coinvolgimento nei servizi degli stessi assistiti. Amati non ha dubbi: «Al rifugio c’era tutto questo: è un modello che ha funzionato».