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Sékou Touré e l’Indipendenza della Guinea: una storia complessa

Il libro di Aldo Ciani esplora il regime di Sékou Touré in Guinea, offrendo riflessioni sulle relazioni euro-africane e l'attualità continentale.

L'articolo Sékou Touré e l’Indipendenza della Guinea: una storia complessa proviene da Globalist.it.

di Antonio Salvati

Il nuovo e corposo volume di Aldo Ciani Guinea: una storia africana. Il regime di Sékou Touré attraverso le testimonianze dei perseguitati politici (Fuorilinea 2023, 520 pp, 22 €) non è solo una ricostruzione accurata delle vicende dell’indipendenza tormentate della Guinea Conakry e dei successivi anni in cui quel Paese fu governato da Sekou Touré e dal partito da lui fondato. Ci offre anche l’opportunità di tornare a riflettere sui rapporti euro africani nella lunga fase della dominazione coloniale, della sua fine e della fragile e spesso tormentata indipendenza.

Oggi il continente africano vuole essere protagonista del proprio destino. Si tratta di un cambiamento che scaturisce dalla globalizzazione. Tutti fanno i propri interessi e l’Africa non vuole essere da meno. Gli africani da tempo avvertono il bisogno di trovare una propria identità (culturale, politica o di sviluppo) e stanno cercando la loro strada nella globalizzazione, ed ora anche nello scontro tra Occidente e Russia. Un compito molto difficile, soprattutto in un tempo in cui le strutture multilaterali (come l’Onu) sono in crisi e le guerre diventano infinite. Seppur non dobbiamo dimenticare che gli africani hanno sempre dimostrato una fortissima resilienza: dalla tratta degli schiavi alla colonizzazione, dalla perdita dell’identità culturale e linguistica, povertà all’irrilevanza commerciale e politica, terreno di scontro di superpotenze. A tutto questo e a tanto altro l’Africa ha resistito mantenendosi in piedi.

Negli ultimi anni l’Africa in più circostanze si è rivoltata definitivamente contro l’Occidente, come accaduto recentemente nei voti alle Nazioni Unite nei quali il continente si è recentemente spaccato sulla condanna alla Russia per la guerra di aggressione all’Ucraina. E più ancora nel caso della guerra a Gaza in cui l’Africa intera si è schierata con i palestinesi quasi spontaneamente. È di queste ore la decisione di Burkina Faso, Mali e Niger di ritirare i loro Paesi dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cédéao). Mario Giro, noto esperto di questioni africane, definisce questo fenomeno come una “rottura sentimentale” che si allarga all’Europa e a tutto l’Occidente. Prima di lui, il politologo francese Dominique Moïsi ha rilevato che le relazioni tra gli Stati e i popoli sono ormai rette da una “geopolitica delle emozioni”, le più significative tra le quali sono la speranza, l’umiliazione (e il rancore a essa connesso) e la paura (del declino). La paura, in tal senso, diviene cultura del disprezzo per l’altro di altra religione, altra etnia o comunque diverso. Per spiegare tutto ciò non è sufficiente accusare il neocolonialismo (intreccio di interessi economico-politici con le ex metropoli proseguito dopo le indipendenze). Esso esiste da molto tempo, ma era controbilanciato da un diffuso – spiega Giro – sentimento di prossimità culturale e linguistica che ora sembra improvvisamente svanito. È ciò che stanno vivendo le relazioni euro-africane oggi: un piano inclinato in cui le emozioni celano (e guidano) interessi nascosti o agende segrete (incentrate sul potere, sul controllo delle risorse e sulla nostra ossessione migratoria, come ben dimostra nel nostro Paese il dibattito attorno al cosiddetto “Piano Mattei”). Sembra di essere tornati agli anni ’60 del novecento, tanto che molti analisti non esitano a evocare una “seconda decolonizzazione”.

Poche considerazioni per comprendere che la narrazione sull’Africa – partendo anche dalle storie locali – deve essere più attenta alla complessità di un continente che elabora continuamente le proprie strategie per resistere ai tempi difficili. Per approfondire i contenuti del suo volume – e arricchire il nostro bagaglio di conoscenze africane – abbiamo incontrato Aldo Ciani, ponendogli delle domande.

Perché un libro sulla Repubblica della Guinea e sul suo primo Presidente, Sékou Touré?

C’è un dato biografico: all’inizio degli anni ’90 iniziai ad occuparmi di volontariato internazionale in Africa Occidentale. All’epoca in Guinea era ancora viva la memoria del regime di Sékou Touré, terminato con la sua morte nel 1984. Una memoria viva nei testimoni, ma anche evidente nella situazione di grande arretratezza del Paese. Era quindi impensabile tentare di conoscere e interfacciarsi con quel mondo senza conoscere quello che quel Paese aveva vissuto e l’epopea del suo padre fondatore. Per questo ho iniziato a raccogliere la modesta ma non irrilevante bibliografia su quegli anni, accorgendomi ben presto che, con lodevoli eccezioni, non se ne trovava in lingua italiana. Il libro, infatti, tratta di un argomento sostanzialmente inedito nella pubblicistica italiana. Né la piccola Repubblica di Guinea, né il suo primo carismatico Presidente Sékou Touré sono mai stati oggetto di uno studio approfondito e monografico in lingua italiana. E poi, percorrendo questa storia, mi sono accorto che si tratta di una vicenda emblematica di tanta storia analoga di ciò che produsse l’incontro/scontro tra Africa e Europa dal 1600 al 1900 e di quelli che ne furono i tratti distintivi, specialmente durante la colonizzazione e la decolonizzazione di quei territori, sino alla costruzione di nazioni indipendenti e autonome. Poi certo non è inedito il materiale utilizzato per descrivere quella che sin dal titolo definisco una “storia africana”. Non inedito perché frequenti sono le citazioni dei protagonisti diretti di questa storia, a partire proprio dai testi redatti da Sékou, proseguendo con quelli dei teorici, economisti, sociologi, che lo sostennero nel suo itinerario, sino alla testimonianza di quelle che furono le vittime del suo regime. Il tutto accompagnato, quasi confortato nei tratti più salienti, dal lavoro che storici africani e europei hanno prodotto su quegli anni.

Vicenda emblematica?

Si, questi protagonisti descrivono vicende che aiutano a farsi strada attraverso le trasformazioni di un sistema politico nato per realizzare un’esperienza originale di indipendenza, di una nuova società africana, ma naufragato negli anni in una tragedia. Si tratta di una stagione di drammatica originalità: la Guinea fu l’unico Paese dell’Africa Occidentale Francese a votare “no” alla proposta del Generale De Gaulle che voleva associare le colonie alla metropoli in una comunità che ne consentisse allo stesso tempo la decolonizzazione e la continuazione del rapporto con la Francia. Era il sogno imperiale del liberatore della Francia, considerato da molti come l’estremo tentativo di salvare il colonialismo, ovvero come un’anticipazione di quel neocolonialismo che avrebbe segnato i rapporti fra la Francia e le ex colonie dopo il 1960 (la cosiddetta françafrique). Ma la Guinea rifiutò l’offerta di De Gaulle e segnò un cambiamento epocale. Tale rifiuto costò caro alla Guinea: il generale De Gaulle, irritato dall’ingratitudine guineana, decise il ritiro dei francesi e la fine degli aiuti. Se la Guinea avesse voluto essere indipendente, la Francia non si sarebbe opposta, ma avrebbe adottato una politica “vendicativa” nei suoi confronti. La Guinea si ritrovò indipendente ma sola, senza personale tecnico e disponibilità finanziarie. Eppure, il suo leader divenne l’eroe dell’indipendenza,

Che uomo fu?

Quella di Sékou Touré fu certamente una figura eccezionale, e la sua Repubblica di Guinea tanto un faro per i progressisti di tutto il mondo, quanto, per buona parte della sua vita, una “bestia nera” per un certo mondo neocolonialista francese. Occorre quindi ragionare di una complessità che non si lascia facilmente classificare in categorie precostituite. E quindi la scelta di affidare il ritratto del liberatore della Guinea, grande combattente per la causa dell’indipendenza africana, oppositore della Francia coloniale, e delle pretese neocoloniali dei decenni successivi, ai suoi contemporanei, sia quelli che lo affiancarono, sia quelli che gli si opposero, scoprendo, spesso, che gli stessi testimoni avevano vissuto entrambi le fasi nel corso della loro vita. Ne emerge il ritratto di un giovane bohèmien sullo sfondo di un Paese assopito, attratto dal comunismo del PCF, dal quale sa trarre il meglio per sé e il proprio Paese senza farsi imbrigliare dal dogmatismo. Un dirigente scaltro, cresciuto nel sindacalismo ma a suo agio come Deputato Francese, al pari dei suoi coetanei Senghor e Boigny, solo per citare i più noti. Un militante dell’indipendenza che tiene testa, eccome, all’eroe della liberazione della Francia, il Generale De Gaulle, l’”enfant rebelle” che resiste, con caparbietà, ad un embargo tanto spietato quanto inutile nel suo tentativo di piegare la giovane e fiera Guinea. E insieme si vede apparire, come plasmata dagli eventi, una nazione moderna, con tutte le incoerenze della sua epoca, la necessità di collocarsi all’interno di un mondo bipolare dominato dalla guerra fredda, la complicata ricerca di una terza via tra i Paesi non allineati, il rapporto con la Cina, l’Islam, le monarchie del petrolio. E con la nazione un popolo, inebriato in principio, poi stordito, infine sopraffatto.

La narrazione non si lascia influenzare della prospettiva postuma.

Pur non potendo ignorare l’esito, certamente non esaltante, di ventisei anni di regime monocratico, la postura di chi racconta è sempre quella di voler comprendere e rappresentare. Sono convinto che, con tutte le sue contraddizioni, la figura di Sékou Touré continua ad interrogarci, stimolando una ricerca che sappia ritrarre un’epoca avvincente che molto ha ancora da dire alla nostra. E non tanto perché sia ancora attuale la sua interpretazione per comprendere l’attualità africana, ben più condizionata oggi dalla globalizzazione che dal colonialismo, ma perché come quell’epoca fu anche figlia dei secoli che l’avevano preceduta, anche quella che siamo chiamati a costruire oggi non potrà non tener conto di un passato di incontri, scontri, contaminazioni, incomprensioni, paternalismo, oppressione, razzia. Comprendere come quel tempo produsse sogni e incubi, dando dignità a vicende e personaggi poco noti ma non per questo meno significativi sul cammino della liberazione e dell’emancipazione dei popoli e delle nazioni, servirà forse, mi auguro, a costruire oggi rapporti maggiormente consapevoli, meno schiacciati su reciproci stereotipi e pregiudizi. Perché non debba più riproporsi, parafrasando la celebre locuzione di Sékou Touré, a oltre sessant’anni dagli eventi citati, la scelta capestro tra libertà nella povertà e benessere materiale in schiavitù.

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