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Zaporizhzhia come obiettivo militare: qual è la situazione e cosa si rischia coi continui blackout

Zaporizhzhia come obiettivo militare: qual è la situazione e cosa si rischia coi continui blackout

Viviamo nell’Antropocene: un’era recente, non ancora abbastanza assimilata nella consapevolezza comune, in cui la società umana è scossa da eventi dei quali è protagonista attiva, nonostante mettano in discussione la sua integrità, la continuità, della sua storia, se non, addirittura, la sua sopravvivenza. L’incontrollabilità di tecnologie che, quando si scatenano, sfuggono al controllo democratico e […]

L'articolo Zaporizhzhia come obiettivo militare: qual è la situazione e cosa si rischia coi continui blackout proviene da Il Fatto Quotidiano.

Viviamo nell’Antropocene: un’era recente, non ancora abbastanza assimilata nella consapevolezza comune, in cui la società umana è scossa da eventi dei quali è protagonista attiva, nonostante mettano in discussione la sua integrità, la continuità, della sua storia, se non, addirittura, la sua sopravvivenza.
L’incontrollabilità di tecnologie che, quando si scatenano, sfuggono al controllo democratico e sociale, è diventato un problema tragico della nostra era. In queste ore rimaniamo scossi dalla tragedia di Suviana, ma ad ogni imprevisto stentiamo a cercare risposta. Sembra che l’artificiale sfugga di mano all’umano.

Qui provo ad esaminare un caso particolare – utilizzando molte fonti di informazione – da Euronews ad Indipendent, ad Al Jazeera, al Guardian – in cui la follia della guerra, assieme all’insistenza a protrarla con l’invio di armi sempre più sofisticate e sempre più deflagranti, trova un punto di svolta drammatico nel bombardamento della centrale di Zaporizhzhia. Le versioni propagandistiche delle due parti in conflitto, che si accusano a vicenda del lancio di ordigni, non limitano certo il pericolo imminente di un disastro incalcolabile, tutt’altro che irripetibile.

Zaporizhzhia non è solo la centrale più potente di Europa, ma può diventare l’Hiroshima del nuovo millennio, confermando la tragica continuità tra il nucleare civile e quello militare. Il pericolo di una catastrofe si era già avvicinato un anno fa, quando il bacino della centrale idroelettrica di Kakhovka, con l’abbattimento della diga di contenimento, era sceso al livello più basso degli ultimi tre decenni, mettendo a rischio le risorse di irrigazione e acqua potabile, nonché i sistemi di raffreddamento della vicina centrale nucleare di Zaporizhzhia.

Già quell’episodio, che ancora non riguardava l’atomo, rappresentava il più grande ecocidio in Ucraina, con migliaia di specie travolte dalla breccia nella diga che, oltre a contaminare le riserve idriche, ha distrutto centinaia di specie animali e vegetali rare, oltre che ad aver costretto migliaia di persone a evacuare l’area che si trova sul suo corso a valle. La regione allagata ospitava una quantità significativa di foreste e riserve, come la Riserva della Biosfera del Mar Nero, che nutre migliaia di specie, e il deserto di Oleshky Sands, colpiti dalle inondazioni, con il rischio di estinzione globale di specie animali, fungine e vegetali, oltre che di distruzione delle residenze di uccelli migratori.

L’Ucraina ha 15 centrali nucleari e nella sua storia c’è il dramma di Chernobyl del 1986, tuttora vivido e irrisolto, ma è Zaporizhzhia ad essere focalizzata, attirando oggi l’attenzione più inquietante. Nonostante gli appelli dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, giungono quotidianamente notizie di attacchi nella regione. Intervistato da Euronews, un ex capo dell’AIEA ritiene che oggi siamo più esposti al pericolo che nel 1986. Una situazione per certi versi peggiore, perché si tratterebbe di un attacco intenzionale, provocato e calcolato dall’uomo: è infatti molto difficile proteggere una centrale nucleare se munizioni o missili colpiscono il posto sbagliato.

Già all’inizio dell’invasione le truppe russe presero il controllo della struttura di Zaporizhzhia. Tuttavia, l’impianto ha continuato ad essere gestito da lavoratori ucraini, mentre veniva ripetutamente messa fuori uso la rete elettrica nazionale, provocando blackout nella stessa centrale nucleare dove è necessaria una fornitura di energia costante per evitare il surriscaldamento dei reattori.

Dopo mesi di insicurezza, nel settembre 2022, l’ultimo reattore è stato spento. L’impianto è entrato quindi in un’altra fase operativa, meno delicata, ma non per questo meno pericolosa. “In realtà la situazione sta peggiorando – scrive il rapporto di Grossi, direttore dell’IAEA – a Zaporizhzhia è presente solo circa un quarto del personale addetto alla manutenzione, del tutto insufficiente perché le centrali nucleari hanno un sistema di conservazione regolare, ispezioni regolari e controlli di sicurezza delle autorità: il che significa che l’impianto si sta deteriorando con il passare del tempo”. Mancano i pezzi di ricambio e questo può avere conseguenze che sono imprevedibili e possono portare al rilascio di radioattività anche a reattori spenti.

Entrambi i nemici affermano di gestire l’impianto, quindi non ci si aspetterebbe che lo considerino un obiettivo militare, ma il sito in sé nell’ultimo mese sembra essere stato deliberatamente preso di mira dai bombardamenti. Per ora si tratta di bombardamenti che hanno luogo intorno all’impianto e ci sono stati uno o due casi in cui un proiettile ha colpito alcune parti del sito. I reattori hanno muri di cemento spessi un metro e rivestimento in acciaio. Quindi sono edifici molto robusti, con una protezione che dovrebbe essere sufficiente per un tipo di impatti accidentali che non sono diretti deliberatamente. Ma se lo fossero? Se, cioè fossero obbiettivi di guerra?

Il 9 marzo, l’impianto è andato in blackout per la sesta volta dall’occupazione, costringendo gli ingegneri nucleari a passare ai generatori diesel di emergenza per alimentare le apparecchiature di raffreddamento essenziali. “Ogni volta lanciamo un dado – avverte Rafael Mariano Grossi – e se permettiamo che ciò continui di volta in volta, allora un giorno, la nostra fortuna finirà”. Per questo è indispensabile una zona di sicurezza intorno alla centrale nucleare.

A fine febbraio, è stato chiuso anche il collegamento all’ultima linea elettrica di riserva, che rende ancora più fragile la situazione della sicurezza nel sito.
Rosatom, l’impresa russa che ha preso l’impianto sotto la sua giurisdizione, dichiara che la causa della disconnessione non è stata immediatamente nota, aggiungendo di essere stata informata dall’operatore di rete ucraino che i lavori sulla linea erano in corso. Una imprevidenza o una azione militare inconsulta? Qualsiasi interruzione di corrente o danni alle linee elettriche può minacciare i reattori altamente reattivi e le loro altre funzioni essenziali, che hanno bisogno di elettricità per raffreddarsi, anche quando risultano spenti.

In origine l’impianto aveva a disposizione quattro linee da 750 kV e sei linee da 330 kV per mantenere in funzione l’erogazione di energia da nucleare. Quindi non ci sono più opzioni di backup per l’alimentazione off-site e ciò significa che i sei reattori VVER-1000 V-320 raffreddati ad acqua e moderati ad acqua contenenti uranio-235, oltre al combustibile nucleare esaurito, potrebbero essere un bersaglio spaventosamente vulnerabile. Rosatom accusa Kyev per un lancio di un drone sulla cupola di un reattore e il ferimento di tre operai nella mensa dell’impianto, mentre Zelensky ha sottolineato che gli attacchi russi continuano incessanti su Zaporizhia.

Non siamo più solo all’atrocità della guerra e allo scambio di accuse tra contendenti: siamo di fronte ad una delle molte questioni esemplari ed esiziali del tempo in cui viviamo. Occorre porre fine a questo terrore e allontanare dal nostro mondo l’illusione che la parola “vittoria” abbia ancora senso quando si tratta delle emergenze dell’Antropocene. Che andrebbero affrontate con la visione che solo un sofferente papa Francesco ha saputo anticipare, in solitudine tra i leader mondiali distanti dai loro popoli.

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