Strage di Erba, l’avvocato: “Rosa e Olindo incompatibili come colpevoli”. Schermaglia in aula tra difesa e accusa
È il giorno della difesa alla processo per decidere la revisione del processo per la strage di Erba. Al primo udienza l’accusa ha parlato di “una cascate di prove” e la parte civile di mettere fine alle speculazioni. “Ci sono tre consulenze che descrivono una dinamica dei fatti completamente diversa da quelli della sentenza e […]
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È il giorno della difesa alla processo per decidere la revisione del processo per la strage di Erba. Al primo udienza l’accusa ha parlato di “una cascate di prove” e la parte civile di mettere fine alle speculazioni. “Ci sono tre consulenze che descrivono una dinamica dei fatti completamente diversa da quelli della sentenza e rendono incompatibili Olindo e Rosa come colpevoli della strage di Erba” ha detto nell’arringa di Fabio Schembri, avvocato di Olindo Romano, condannato all’ergastolo, insieme alla moglie Rosa Bazzi. Nella sua ricostruzione, nell’udienza sulla revisione del processo in corso a Brescia, sottolinea come la descrizione dell’omicidio della vicina di casa Valeria Cherubini, una delle quattro vittime dell’11 dicembre 2006, è “un’ipotesi fantascientifica. È impossibile che le cose sono andate come descritte nella sentenza” sostiene il legale.
L’omicidio di Valeria Cherubini – Nella sua discussione Schembri ricorda come, con i colpi ricevuti alla testa e alla gola, Valeria Cherubini non avrebbe potuto urlare ‘aiuto’ come sentito dai primi soccorritori e che non avrebbe potuto salire le scale per raggiungere il suo appartamento. “La nuova prova introduce che l’assassino o gli assassini erano ancora in casa perché la sentirono gridare, la prova nuova attesta che venne colpita su e questo è un aspetto che oggi potrebbe diventare dirimente”. La dinamica della strage “è incompatibile con Olindo e Rosa” perché “sarebbero stati visti dai primi soccorritori”, due vicini di casa, intervenuti sul “pianerottolo angusto” di casa Castagna. “È impossibile che non li abbiano visti uscendo e anche con i tempi non ci siamo, è impossibile che nessuno nella corte piena li abbiano visti. Abbiamo un’impossibilità oggettiva“.
Secondo la ricostruzione certificata dai processi, dopo essere stata colpita Cherubini si trascinò al secondo piano dove morì. Come è noto alla base della condanna c’è anche la traccia di Dna rilevata nella Seat Arosa della coppia. Il sangue, non visibile a occhio nudo, era di Valeria Chrubini e venne repertato sull’auto sul battitacco del conducente insieme ad altre tre tracce che non erano sangue. Una “traccia di alta qualità, perché il Dna di quella traccia è strato tratto da sangue vicino al sangue puro, senza particolari fattori degradanti” avevano scritto i giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado citando le parole del perito.
La testimonianza di Frigerio – Per la difesa degli imputati il ricordo “più accurato” che fornisce Mario Frigerio, unico testimone oculare del quadruplice omicidio, “è di uno soggetto sconosciuto di etnia araba”. Ai giudici della corte d’appello il legale dice di poter offrire una nuova prova: Frigerio “aveva un’amnesia anterograda“, ha respirato “monossido di carbonio” che ha compromesso funzioni cognitive importanti, “come alterazioni della memoria, della capacità di ricordare”, ha subito “domande suggestive che possono innescare una falsa memoria esibita in dibattimento. Frigerio perde lucidità, ma peggiora non migliora, le sue condizioni erano migliori i primi giorni”, quando – sostiene la difesa – non ricorda il vicino di casa come il suo aggressore. In realtà
Anche per il legale Nico D’Ascola che – insieme ai colleghi Fabio Schembri, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux – difende i coniugi la testimonianza di Frigerio, è “una prova sospetta, non nitida” perché dal letto di ospedale di Como “indica un soggetto non noto, fa stilare all’ufficio di procura un identikit che raffigura un soggetto completamente diverso”. Frigerio, nel processo di primo grado, puntò il dito (senza esitazione) contro i coniugi Romano, ma per la difesa il suo è un racconto non genuino. “L’intossicazione da monossido di carbonio“, gli assassini appiccarono il fuoco nell’appartamento di Raffaella Castagna per cancellare le tracce della strage, “hanno determinato – secondo un pool difensivo di esperti – il decadimento di funzioni cognitive importanti, come alterazioni della memoria, della capacità di ricordare e della capacità di orientamento”. La scorsa udienza la parte civile che tutela la famiglia Frigerio aveva fatto notare come la consulenza depositata agli atti fosse uno studio che non poteva includere il caso in questione per durata e per conclusioni.
Fu Frigerio, che è morto nel 2014 – a indicare in aula (unica sede della raccolte delle prove) a indicare come responsabili dell’aggressione l’uomo e la moglie seduti accanto nella gabbia apostrofandoli così: “Sono quei due delinquenti lì”. Per i giudici di primo grado il riconoscimento di Olindo da parte di Frigerio era indubbio e il testimone ha avuto “atteggiamento sempre lineare… nonostante l’intensità di un ferreo controesame”. Anche gli ermellini, nella motivazione della conferma del fine pena mai, erano tornati sulla testimonianza di Frigerio, che subito dopo la strage aveva parlato agli inquirenti senza fare subito il nome di Olindo. Per i giudici “ha spiegato le sue difficoltà non tanto nel fare affiorare il ricordo momentaneamente offuscato a causa del trauma, quanto alla sua difficoltà di credere che a inveire su di lui fosse stato il Romano, suo vicino di casa che riteneva persona per bene, e che dichiarava di aver riconosciuto distintamente nel momento in cui aprì la porta di casa Castagna, tanto da essersi chiesto cosa facesse in quel luogo”.
La schermagli in aula – La cronaca del processo ha registrato anche una breve schermaglia in aula tra la difesa dei coniugi Romano e il procuratore generale Guido Rispoli e l’avvocato dello Stato Domenico Chiaro. Durante l’intervento del difensore Nico D’Ascola, gli esponenti della pubblica accusa hanno scosso vistosamente il capo, provocando la ‘reazione del legale: “Si dovrebbero limitare le manifestazioni di dissenso perché io non le ho fatte quando parlava l’accusa. Non abbiamo fatto mosse e ne avremmo potuto” ha detto il legale. A quel punto è intervenuto il presidente che ha chiesto di smetterla.
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