Liberomazzi, il critico non è in sala
Giornalista, scrittore, responsabile della Terza Pagina del Piccolo, seppure estraneo all’ambiente cinefilo, dagli anni ’50 agli ’80 guidò le scelte dei triestini
TRIESTE. Nella città degli scrittori (e dei critici cinematografici) ha avuto un significativo ruolo per tre decenni, dagli anni ’50 agli ’80, tra letteratura e cinema, Libero Mazzi, giornalista e scrittore pressoché dimenticato, ma che ci sembra giusto ricordare per il centenario della nascita, che cade lunedì 29 aprile.
Caposervizio de Il Piccolo in Cultura
A lungo caposervizio di cultura e spettacoli de “Il Piccolo”, per la sabiana “folla domenicale”, per le famiglie triestine che negli anni del boom andavano in “cine”, Libero Mazzi (nome e cognome pronunciati sempre di fila, come un marchio) era soprattutto il critico cinematografico cittadino per antonomasia. I nostri cinecritici passati alla storia, infatti, i Kezich, i Cosulich, anche il radicato Tino Ranieri, e poi i Codelli e i Germani, avevano acquisito la fama fuori Trieste, ed erano pertanto qui meno popolari. Parafrasando il film simbolo della provincia italiana anni ‘50, “I vitelloni” di Fellini, si può dire che Libero Mazzi fu quello del gruppo rimasto in città, che non prese il treno per Roma o Milano.
Lui era Liberomazzi
E quindi era lui, “liberomazzi”, la bussola incontestata dei lettori de “Il Piccolo” per il cinema d’autore, in una Trieste capofila in Italia per presenze in sala in rapporto alla popolazione. Prima di andare in “cine”, per i film “difficili” in genere si chiedeva: “Cossa gà scritto liberomazzi?”.
La sua rubrica Prime visioni
Con la sua rubrica plurisettimanale “Prime visioni”, con le sue pittoresche lenzuolate in terza pagina dal Lido sulla Mostra di Venezia, questo critico estraneo all’ambiente cinefilo, che “no te lo vedi mai in cine”, testimoniò tuttavia ai lettori triestini le svolte chiave del grande cinema italiano e mondiale, aiutandoli a capirle. I suoi occhi videro il passaggio dal cinema classico a quello moderno e poi postmoderno, da Bergman a Spielberg, da “La dolce vita” a “Blade Runner”. Quando naturalmente il cinema, per molti, stava morendo. Anzi, era già morto. Ma Libero Mazzi, con uno stile personale, elegante e spesso divertito, tendente alle citazioni colte e all’analisi, sottolineava invece puntualmente la vitalità e soprattutto la serietà del cinema come fatto culturale, più che di spettacolo.
Il suo cognome cambiato
Nato col cognome Straussgitter (più o meno “mazzo di fiori”) e divenuto Mazzi nel 1933 col fascismo, padre magazziniere della ditta Veneziani di Svevo, Libero Mazzi era triestinissimo, “legato alla sua barca e alle camminate con amici scelti sull’altipiano”, come scrisse il collega Bruno Lubis nel dicembre 1994, quando Mazzi se ne andò a 70 anni nel sonno. Aveva frequentato l’Istituto Nautico e poi Architettura a Venezia insieme a Romano Boico e Nino Perizi. Impiegato alle Belle Arti e collaboratore di varie testate, venne chiamato nel 1957 a “Il Piccolo” da Chino Alessi come giornalista a tempo pieno. Qui coordinò presto una gloriosa terza pagina dove all’epoca intervenivano Anita Pittoni, Stelio Crise, Quarantotti Gambini, Bruno Maier, Stelio Mattioni, Fulvio Tomizza, Giorgio Voghera, il primo Claudio Magris. Grandi firme di una Trieste che attirava l’attenzione della cultura nazionale non più solo per Svevo, Joyce o Saba.
Gli elzeviri su Trieste
Legato al ruolo di redattore interno, a partire dal 1967 rivolse la sua attività anche verso l’esterno. Curò così la raccolta di propri elzeviri su Trieste “Queste mie strade”, seguita da “Andare a Lussino” (1968). Nell’antologia “Quassù Trieste” (1968, Cappelli), fotografata da Claudio Saccari, ospitò interventi di Arduino Agnelli, Giorgio Bergamini, Spiro Dalla Porta Xydias, Guido Miglia, Giulio Montenero, mentre Giorgio Voghera tracciava qui il primo nucleo de “Gli anni della psicanalisi”. Curò per il Teatro Stabile uno spettacolo sui poeti triestini, “Trieste con tanto amore”, recitato da Cesco Baseggio e Giulio Bosetti. In redazione, dopo teatro, capitavano da lui Garinei e Giovannini, Rascel, Bramieri e Walter Chiari. Anche perché, “ultimo dei giornalisti ‘carta e penna’, scriveva di notte, in attesa di impaginare, in tipografia”, come ricordò il collega Renzo Sanson.
Critico cinematografico
Ma che tipo di critico cinematografico era Libero Mazzi? Non si sentiva un giudice e non era un critico “semaforico”, di quelli che danno il via libera alla visione di un film o la bloccano. A lui importava altro. Era piuttosto - in piena sintonia con la sua città - un critico “letterato” per cui il richiamo alla pagina era una costante dei suoi pezzi, con la citazione libresca che veniva fuori con naturalezza, quasi con necessità. Prendiamo nel 1961 il suo commento da Venezia di una spiazzante pietra miliare del cinema moderno, su cui si dimostrò più a suo agio di tanti colleghi: “Con ‘L’anno scorso a Marienbad’, Alain Resnais si è dunque applicato alla letteratura. Chi ha letto ‘Le gomme’ di Robbe-Grillet e ‘L’impiego del tempo’ di Butor non può, vedendo il film, non rilevarne le diverse analogie”.
La nascita del Festival del Film di Fantascienza
Quale eredità ci lascia? L’essere stato anche anello di congiunzione fra Venezia e Trieste per la nascita, nel 1963, del Festival del Film di Fantascienza. Quando gli scrittori veneziani Raiola, Sandrelli e Zanotto cercarono sponda fuori laguna per questo inedito progetto, si rivolsero proprio a Libero Mazzi, conosciuto alla Mostra del Cinema. E lui, notoriamente schivo, si rivelò invece uomo di relazioni promuovendo l’idea in città, tanto che sarà realizzata in pochi mesi, incaricando poi di scriverne, dal ’68 in poi, un giovanissimo Fabio Pagan.
L’edizione del debutto
E commentando l’edizione di debutto, gli capitò ciò che tutti i critici sognano: intuire senza rete il successo di un classico. Per il film Astronave d’oro del 1963, infatti, “La jetée” di Chris Marker - struggente parabola sulla memoria considerato oggi uno dei più bei film di sempre - “liberomazzi” iniziò così il suo pezzo prima del verdetto: “Non abbiamo paura di comprometterci: si dirà del primo Festival della Fantascienza che in esso è stato presentato un grande film”.