Dall’Appennino all’Everest, così si allena l’alpinista Davide Chiesa
Il post e il saluto all’amico sherpa nepalese Mingma Tenzi protagonista della prima scalata invernale sul K2
La notizia ha fatto il giro del mondo, rimbalzando tra quotidiani e televisioni, accendendo gli entusiasmi di tanti alpinisti e scoraggiando quei pochi che speravano di compiere per primi l’impresa. Lo scorso 18 gennaio, infatti, una spedizione formata da dieci sherpa ha raggiunto per la prima volta la cima del K2 in pieno inverno, stabilendo un record che da qualche anno tutti i migliori scalatori del pianeta cercavano di portare a casa. A complimentarsi pubblicamente con la squadra nepalese dall’Italia anche Davide Chiesa, alpinista di Castel San Giovanni che nel 2017 ha scalato (in estate) il monte Everest: nella spedizione a cui prese parte c’era anche Mingma Tenzi Sherpa, uno di coloro che in questi giorni ha raggiunto la seconda vetta più alta del globo (8.609 metri).
A Mingma Tenzi ha dedicato un post su Facebook: lo ha chiamato “L’eroe del K2”. «Sì, ho voluto intitolarlo così perché credo che si sia ampiamente guadagnato questo titolo, partecipando e guidando moltissime spedizioni su diversi Ottomila. Con questa impresa ha coronato la sua carriera, e sono molto felice per lui soprattutto perché è riuscito ad arrivare in cima con un gruppo di scalatori autoctoni. E’ la prima volta che gli Sherpa, nati sulle montagne dell’Himalaya, riescono a raggiungere un risultato così importante». Strano, soprattutto se pensiamo che il termine “sherpa” è diventato addirittura un’antonomasia. Ormai non designa più solo gli appartenenti all’etnia nepalese, ma indica in generale tutte le guide che prestano servizio su montagne esotiche. Certo, ormai tutti gli alpinisti delle spedizioni commerciali si avvalgono della collaborazione degli sherpa, riconoscendo che la loro preparazione e la loro prestanza fisica sono fondamentali quando ti trovi a scalare le montagne più alte della Terra. Ma il fatto che tutti riconoscano il loro valore non significa che loro stessi ne siano pienamente consci: lo stanno diventando adesso, e questa impresa è un primo segnale di questa loro nuova consapevolezza».
Che ricordo ha di Mingma? «Il ricordo di una persona serissima, molto precisa ed efficiente sia nell’organizzazione che nella logistica. Ma poi molto forte e particolarmente resistente al freddo: scala con zaini da 30 o 40 chili, e anche ai campi più alti gira con un semplice piumino, togliendosi se necessario anche i guanti. Roba che solo chi è nato sull’Himalaya può permettersi».
Lei ha all’attivo circa 400 salite in quota e su ghiaccio, e diverse spedizioni extraeuropee: Everest, Condoriri, Huayna Potosi, Barunste e molte altre. Come sta vivendo la reclusione?
«Come una lunga giornata in un campo ad alta quota, quando aspetti che le condizioni meteo migliorino per continuare la scalata. Un’attesa un po’ frustrante, ma al termine della quale sai che tornerai a salire».
E nel frattempo?
«Nel frattempo mi alleno comunque per quanto possibile. Quando si poteva ho scalato la Pietra Parcellara, una vetta di 800 metri in val Trebbia. Ci sono tornato più di una volta e sia io che altri scalatori della zona abbiamo aperto una decina di vie nuove sulle pareti nord ed est: non le aveva mai scalate nessuno perché sono molto friabili, e vanno affrontate per forza in pieno inverno. Fortunatamente quest’anno di neve ne è caduta parecchia, e ciò ci ha consentito di divertirci molto anche sulle montagne dietro casa». —
Serena Simula